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«Anche una partita di pallone diventava incubo»

(...) Per capirci, alla morte di Moro, avevo 20, 21 anni. Per tanti anni, per centinaia di giorni, mio padre partiva alla mattina e tornava alla sera con auto blindata, auto di scorta privata aziendale e Carabinieri.
A tutto ci si abitua, ed allora era normale sentirlo salutare mia madre e me al mattino dicendo: «Speriamo di vederci stasera», perché in un periodo c'era un’azione brigatista a Milano, una a Torino ed una a Genova. Al giro. Quando era la giornata genovese, il timore era molto elevato.
Furono gambizzati in quegli anni alcuni colleghi amici di mio padre, tra i quali ricordo il Professor Carlo Castellano (oggi Presidente di Esaote, uomo straordinario) e l'amico di una vita Fausto Gasparino. Ricordo bene la notte della gambizzazione di Gasparino, quando attendevamo con i suoi familiari ed i miei fuori dalla sala operatoria, ore che non passavano mai, medici che non davano certezze, richieste di sangue ogni volta più preoccupanti (oggi sta bene, l'ho visto poco tempo fa).
Ma ricordo anche piccole inezie, piccoli terrori molto personali, che ho raccontato poche volte. Una partita di pallone tra amici, su un campaccio in terra, in cui all'improvviso entrarono due carabinieri urlando «Chi è Clavarino?». Mi sentii morire, pensai che fosse successo l'irreparabile. Invece mi dissero: «Non torni a casa, perché abbiamo avuto segnalazioni che suo padre stasera è l'obiettivo. Vada a dormire da un amico e ci lasci il suo recapito telefonico. La chiamiamo quando c'è via libera». E la cosa pazzesca è che mi sentii sollevato, protetto dalle forze dell'ordine, tutto sotto controllo. Poi ricordo con ansia ancora oggi non del tutto sedata l'ingresso di ogni sera nel portone del condominio dove abitavo coi miei. L'ascensore era ed è dietro ad un angolo a sinistra, cieco. Il momento in cui svoltavo quel maledetto angolo per chiamare l'ascensore, talvolta di corsa, talvolta quatto quatto, strisciante contro il muro, come un ridicolo personaggio di film.
Ed ancora una sera in cui, solo in casa, sentii un colpo terribile contro l'uscio di casa. Corsi a prendere una pistola che mio padre aveva comprato chissà poi perché, non essendo in grado di usarla né lui né io e mi sdraiai per terra, con la pistola puntata verso la porta, le mani che mi tremavano talmente forte che se fosse entrato un elefante lo avrei certamente mancato. E rimasi così, come un folle, sudato e tremante, per almeno mezz'ora. Scoprii il giorno dopo che il vicino di casa aveva semplicemente sbattuto violentemente la porta dell'ascensore (ancora lui) contro lo stipite della porta.
E ricordo telefonate a vuoto, a cui rispondevo e dall'altro capo del telefono c'erano solo respiri e silenzio. Telefonate di controllo della presenza in casa. Frequenti, inquietanti.
E poi la fine dell'incubo, coincidente con l'irruzione in via Fracchia, dove sull'agenda dei brigatisti uccisi mio padre era indicato come «la prossima vittima». Si trovarono dettagli completi sui suoi e sui miei spostamenti, si scoprì anche che una brigatista (di cui ho cancellato forse volutamente dalla memoria il nome) viveva nel palazzo di fronte al nostro con appartamento con vista su camera di mio padre, perfetto per riferire qualunque cosa.
Sono andato a vedere su Internet se riuscivo a rintracciare qualcosa sull'irruzione di via Fracchia, ed ho trovato su Wikipedia quanto segue: «Alcuni analisti ritengono che l'irruzione di via Fracchia abbia avuto un ruolo decisivo nella lotta contro le Br indebolendone l'immagine vincente e la capacità di reclutamento perché dopo i fatti fu chiaro per tutti che le forze dell'ordine avevano dichiarato apertamente guerra ai fautori del terrore, dimostrando di essere disposte a uccidere. Altri sostennero che in realtà lo Stato non avrebbe dovuto rispondere ai terroristi scendendo al loro livello ritenendo che si sarebbero potuti adottare mezzi diversi e meno cruenti per portare a termine il blitz. Ci fu anche chi dubitò dei resoconti ufficiali ipotizzando una precisa volontà di uccidere da parte delle forze dell'ordine (dovuta anche al fatto che nei mesi precedenti le Brigate Rosse avevano assassinato quattro carabinieri). Le polemiche vennero inoltre alimentate da alcune circostanze che seguirono il conflitto a fuoco. I magistrati ricevettero il rapporto dei carabinieri su quanto accaduto solo il 5 aprile 1980 ed entrarono per la prima volta nell'edificio soltanto l'8 aprile 1980, lo stesso giorno in cui furono ammessi i giornalisti, cui in precedenza era stato assolutamente vietato l'ingresso nell'abitazione. Le foto scattate all'interno dell'appartamento, infine, sono state pubblicate 24 anni dopo i fatti». Io sono grato alle forze dell'ordine perché se avessero fatto l'irruzione forse un solo giorno dopo, avrei perso allora mio padre, che invece, grazie a Dio, è ancora in ottima salute ad 83 anni.
Ricordo bene, molto bene, anche i discorsi che si facevano allora, con gli inizi in cui si dubitava se questi terroristi fossero neri o rossi, poi con la famigerata definizione di «compagni che sbagliano», poi comunque con una parte di intellighenzia che in qualche modo non dico giustificava, ma cercava di trovare una spiegazione sociologica e dare le colpe alla civiltà capitalistica che non dava spazi ai giovani per esprimere la loro volontà ribellista. E ricordo poi gli arresti, i processi, le urla belluine tra le sbarre di questi maestri del pensiero-nuovo. Ed ho sempre seguito, con indignazione e disgusto, le carriere franche o francesi dei vari Toni Negri, Scalzone, ed altre esecrabili creature che ancora oggi INSEGNANO a studenti.
Ora, con queste mie banali parole, voglio solo testimoniare un'esperienza di infinitesimo dolore rispetto a quello delle vittime vere e dei loro parenti, sperando di far capire la mia vicinanza, che è la vicinanza assoluta e totale della stragrande maggioranza degli italiani, di chi ne ha sofferto ma anche di chi ha solo letto le vicende sui giornali.


E voglio anche ringraziare in particolare Alberto Torregiani che, con il suo volersi mostrare, con il suo dolore evidente e la sua rabbia trattenuta, mi ha dato il coraggio di tirare fuori dall'oblio della mia mente questi tristi, antichi, piccoli ricordi.

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