Qual è la capacità massima del narratore? Quella di toccare, in chi ascolta, qualcosa che lo coinvolga personalmente. Che gli parli proprio di lui. Per primo è rimasto coinvolto lui stesso, e allo stesso modo coinvolgerà i propri ascoltatori, Roberto Benigni, col suo Pietro - Un uomo nel vento: forse il più denso e ricco dei suoi tipici (e talvolta, a ragione, criticati) monologhi, che ieri è stato mostrato in anteprima alla stampa, e che mercoledì 10 su Raiuno avrà la sua prima mondiale.
Semplice ma infallibile il motivo: la storia dell'umile pescatore di Galilea, divenuto primo capo della Chiesa, è la storia di "uno come noi sintetizza Benigni- Uno che agisce d'impulso, si arrabbia, sbaglia, fraintende, piange, ride, soffe, gioisce, si lascia commuovere... proprio come facciamo noi". Al centro di una bianca pedana montata fra i pini secolari dei Giardini Vaticani, proprio alle spalle d'una notturna Basilica di San Pietro, un Benigni emozionato si domanda: "Cosa può aver spinto quest'uomo nell'impresa più folle, quella di convertire il mondo intero, con nient'altro che la propria parola, la propria testimonianza? Cos'era quel vento che l'ha travolto e condotto fino ai confini della morte, e persino oltre?".
La risposta (che non anticiperemo) arriva dopo una lunga cavalcata di oltre due ore attraverso gli episodi più sconcertanti e sublimi del Vangelo. E al centro sempre lui: Simone detto Pietro, "il miglior amico di Gesù, uguale al migliore amico che ciascuno di noi ha avuto a scuola: simpatico, generoso, inopportuno, traditore, umanissimo".
Dall'episodio della pesca miracolosa, "quando Gesù gli dice chi è stato, chi è, e chi sarà solo guardandolo negli occhi: nessuno l'aveva mai guardato così", a quello in cui Gesù cammina sull'acqua: "e Pietro, proprio come un bambino entusiasta, gli chiede di raggiungerlo e Gesù, proprio come un papà, lo riacciuffa perché sta affondando"; dal racconto di quando, "impulsivo e fuori luogo come sempre", Pietro snuda la spada per difendere il suo Signore a quello in cui, "terrorizzato e pur amandolo", lo rinnega per ben tre volte, Pietro aumenta progressivamente in simpatia ai nostri occhi. Davanti agli errori e agli strafalcioni di un pover'uomo "che non ne azzecca una, con un Gesù sempre lì a guardarlo con quell'espressione dolcissima, mista di rimprovero e tenerezza", Benigni si commuove.
"Ogni volta mi viene da pensare: anch'io avrei fatto come lui. Anch'io avrei avuto sfiducia, paura, gioia, vigliaccheria. Perché io sono proprio come lui".
Il momento più intenso il monologo lo tocca quando Benigni riflette che l'amore, "così come noi lo conosciamo oggi, e come dovremmo praticarlo, è un'invenzione di Gesù. È la sua rivoluzione. Altro che Rivoluzione Francese! Gesù ha rivoluzionato il mondo senza ricorrere ad alcuna ghigliottina. Al contrario: pronunciando la parola più alta di tutto il pensiero umano. Ama il tuo nemico". E la commozione finale è legata all'episodio del Quo vadis, Domine?: "È lì che Pietro finalmente capisce che cos'è il vento che l'ha sospinto fin lì". Sicchè non c'è spazio, in Pietro Un uomo nel vento per battute comiche (fra le poche: "Quando Gesù gli ha guarito la suocera chissà cosa ne avrà pensato Pietro") e nemmeno per i consueti riferimenti a politica o attualità (solo un fuggevole paragone, per assurdo, fra Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli e Macron o Trump, immaginati a fare altrettanto). Di più: non ce n'è bisogno.
La materia è talmente densa e stimolante che, al netto di emozione e commozione, qualsiasi excursus risulterebbe superfluo, disturbante. Con la consueta affabulazione Benigni la padroneggia, questa materia, e la rende pop, fruibile, anche per chi, abitualmente, non la mastica affatto.
Un po' come gli antichi attori girovaghi, incaricati di familiarizzare le folle digiune di cultura religiosa ai misteri evangelici, il comico toscano fa opera di divulgazione presso l'analfabetismo religioso dei nostri tempi. E per un comico resosi celebre soprattutto con feroci impertinenze e trasgressioni malandrine, non è poco.