Anche Sex and the City è colpa di Antonioni

Secondo il Los Angeles Times, nel fil del 1955, Le amiche, il regista aveva anticipato le gesta delle eroine della Grande Mela

E noi lì a credere che l’essenza di Sex and the City fosse la modernità. Quel tracannarsi Cosmopolitan, battendo freneticamente sui tasti di un computer portatile Apple, liberandosi sotto la scrivania di design delle «impervie» Manolo, attraversando la Grande Mela in taxi per prepararsi a serate con dosi massicce di sesso libero... Invece vien fuori che New York è come Torino, quarant’anni dopo. Che le quattro amiche intrise di cocktails, abiti alla moda e amori sbagliati non si sono inventate proprio nulla. Che Carrie, Miranda, Samantha e Charlotte hanno avuto «nonne» ben più spregiudicate e profonde. Che la vita l’hanno presa di petto ben più di loro: in Italia, nel 1955. Cesare Pavese le aveva narrate («Tra donne sole» in «La bella estate»), Michelangelo Antonioni le aveva dirette (Le amiche). E comunque, insomma, a ben vedere, anche Sex and the City sarebbe in un certo qual senso colpa del compianto Michelangelo. Già reo di averci fatto riflettere (in altre sue pellicole) su frasi del tipo: «Mi fanno male i capelli».
È colpa del «maestro» perché in Clelia (Eleonora Rossi Drago), direttrice di un atelier di moda, già si intravedeva la puntuta avvocatessa Miranda (Cynthia Nixon), nella diva del malessere, dei barbiturici e delle stangate affettive Rosetta (Madeleine Fischer), la romantica, anacronistica Charlotte (Kristin Davis), nella talentuosa realizzata e malmaritata Nene (Valentina Cortese) la protagonista Carrie (Sarah Jessica Parker) e, infine, nell’ironica pettegola Momina (Yvonne Fourneaux) quella che, per intenderci, riesce a rimproverare a Rosetta «se una non è buona nemmeno a suicidarsi è proprio una cretina», la godereccia mangiauomini Samantha (Kim Cattrall).
Amiche, tradimenti, sesso, bella vita e il «vuoto dentro» a insinuare la piega di teste solo apparentemente ordinate.
A vedere in Antonioni un precursore della serie è il «Los Angeles Times», che ha dedicato un articolo al film del 1955. Mai distribuito negli Stati Uniti (per forza, in quegli anni il modello era Doris Day...) Le amiche fu mostrato solo brevemente a New York nel 1962, ma ora è stato in cartellone in alcune città americane e da venerdì sarà a los Angeles in versione restaurata. Il film che si basa, appunto, sulla novella di Pavese si avvale della sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico e Alba de Cespedes.

«Rivoluzionario per i tempi sia nella storia (ogni decisione importante, su vita, morte o carriera è presa dalle donne) sia per come è raccontato», commenta il quotidiano. Il film parla di Clelia che apre a Torino una boutique e del suo gruppo di «giovani donne attente alla moda, dal pensiero indipendente, che vanno alle migliori feste e vanno a letto con gli uomini che vogliono.

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