Angeli in divisa in guerra contro il dolore

Barbara Vitale, capitano dei carabinieri, psicologa, ha assistito i familiari delle vittime di Nassirya: «Ricordo la sensazione che ho avuto in Irak: sentivi che potevano colpirti ovunque»

A fine giornata ha la voce calma, tranquilla. Trasmette serenità. Eppure per lei è stata una giornata durissima. Ha scortato i familiari delle vittime di Nassirya all’aeroporto di Ciampino, ne ha ascoltato lo sfogo, consolato lo strazio, vissuto la pena. Barbara Vitale, capitano dei carabinieri, laureata con il massimo dei voti in psicologia, specializzata in psicologia clinica, è una delle prime due donne ufficiali dell’Arma dei carabinieri, uno degli angeli in divisa che cura i traumi dei conflitti, addestra i soldati a combattere le paure, si prende a cuore le persone a cui hanno strappato il cuore. Senza arrendersi mai alla stanchezza.
Qual è il nemico più difficile da vincere per i familiari delle vittime?
«Il dolore della separazione in questi momenti è devastante. Sono persone sotto choc, ancora confuse, incredule. Non sempre consapevoli che chi hanno amato non c’è più. Sperano che il suo viso spunti all’improvviso, da un momento all’altro tra la folla».
Cosa aiuta le famiglie a vincere il dolore?
«La famiglia, gli amici, le persone che ti vogliono bene. Ma la cicatrice non verrà mai via».
E ad accettare la perdita?
«La convinzione che sono morti per una causa, per qualcosa in cui credevano. Sanno che sono morti da eroi. Ma è dura lo stesso da accettare».
Di che cosa ha paura un soldato?
«I militari sono tutti preparati. Non ci sono soltanto gli scenari di guerra: si rischia anche qui quando sei di pattuglia. Quello che è diverso è il contesto. Sei lontano da casa, sei separato dalla famiglia, sei in un mondo nuovo. Devi stare sempre attento».
Più difficile gestire la partenza o il rientro?
«Dipende. Chi è stato impegnato in tante missioni fa più fatica a rientrare nella vita di tutti i giorni. Fatica persino a condividere le esperienze che ha vissuto con gli altri. A volte sono troppo forti da ascoltare».
E chi parte per la prima volta?
«Il momento più difficile è l’attimo prima della partenza. A volte può essere il momento dei dubbi, delle incertezza. Poi non ne hai più».
Le armi per vincere la paura?
«La consapevolezza che fai qualcosa in cui credi, che ti batti per un ideale, che vai ad aiutare persone che hanno bisogno di te. È importante avere fiducia in se stessi».
Cosa cambia tra uomo e donna?
«Quasi niente. Essere uomo o donna è relativo, quello che conta è il gruppo in cui sei inserito, le relazioni che hai con i tuoi compagni, il fatto che fai parte di qualcosa».
C’è una frase che non dimentica?
«Ce ne sono tante, ma una in particolare mi è rimasta dentro. Me l’hanno detta i familiari delle vittime: ricòrdati che la divisa che hai è molto bella, ma può costare cara... ».
Che cosa sognano i soldati?
«Non c’è un sogno ricorrente. Ricordo però un soldato che ogni volta che incontrava un bambino iracheno sognava il figlio. Ogni bambino è un bambino».
Il ricordo peggiore?
«Posso dire il mio. Quando sono stata a fare assistenza psicologica a Nassiriya dopo la prima strage, non dimenticherò mai la sensazione che ti prende quando esci dalla base. Hai sempre la sensazione che puoi essere colpito da un momento all’altro, ti sembra di avere mille occhi puntati contro».
Ed è così?
«Lì ti trovi in un altro mondo, che non è il tuo, sconosciuto, spesso insidioso.

E l’incognito ti mette sempre un po’ di angoscia»
Guarire completamente è possibile?
«Il trauma fa parte di ciascuno di noi, in qualunque momento della vita, il trauma è sempre molto personale. Ognuno risponde in maniera diversa al dolore o alla separazione».
Però...
«Però io dico sempre: certi dolori sono come un vaso incrinato. È meno bello rispetto a un vaso intatto. Ma è più forte... ».

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