Angius: «Iscritto al Pd dal violentatore»

RomaUn tempo c’era il destino cinico e baro: il disturbo, tutto sommato, finiva lì. Oggi i tempi sono più controversi, il destino ama il gusto della beffa più d’ogni altra cosa, si sdoppia come la personalità, presenta coincidenze intricate come un labirinto. Materiale di riflessione per Gavino Angius, una vita nel Pci, Pds, e infine Ds. Capogruppo dei senatori a Palazzo Madama, persino vicepresidente del Senato: uomo di polso e di provata fede. Tanto che, al congresso di scioglimento dei Ds, Gavino subì uno strappo. Persino più doloroso della Bolognina di Occhetto, ché qui davvero ci si annegava nel nulla: non sentendosi a suo agio per un salto nel vuoto democratico (pardòn, nel Partito democratico), Angius spendendo qualche lacrimuccia abbandonò la nave di una vita e si dedicò alle azioni corsare. Forse neppure tanto, visto che il Nostro, dopo onorata militanza comunista, era approdato al socialismo e non voleva abiurare persino quello. Si trattò di vera violenza.
Così Gavino prese tessera nell’unico partito socialista residuale in Italia: poca roba, si sa. Ma il Garofano, nonostante la linfa del volenteroso compagno, non per questo riuscì a risollevare il capo. Anche l’entusiasmo di Angius sfiorì, e la battaglia di testimonianza (qualcuno dice di testardaggine sarda) gli sembrò anacronismo puro. Non costò poco travaglio, il ritorno di Gavino presso gli amici (un po’ rinnegati) di una vita. Il risultato delle Europee fugò gli ultimi dubbi.
Con umiltà del militante di una volta, Angius chiede al suo collaboratore di informarsi sull’iscrizione al circolo vicino casa, Eur Torrino. Gavino stesso parla con il coordinatore, tal Luca Bianchini, e fissa un appuntamento. «È stato molto cortese - racconterà l’ex vicepresidente del Senato -, è uscito addirittura prima dal lavoro per arrivare all’appuntamento a un orario per me più comodo...». Accompagnato da Nicola del Duce, giovedì 9 luglio alle 18 Gavino varca la porta del circolo: Bianchini li accoglie con emozione, mostra le stanze, compila il modulo. «Mi ha salutato con gran cordialità», ricorda Angius. I due parlano della situazione politica: «della sinistra, di Berlusconi... gli ho chiesto pure della sezione, di come funzionava... Poi mi ha dato la tessera e siamo andati a prendere un caffè». La chiacchierata, racconta il collaboratore, si protrae per una quarantina di minuti: ciò che colpisce Gavino è che Bianchini «non ha mai sorriso, neppure quando facevamo delle battute». Del Duce, invece, nota che «il coordinatore non dice mai nulla fuori posto, che si parli del referendum, dello statuto, delle primarie... di fronte a ogni dubbio o perplessità, la sua risposta è quasi sempre: “cos’altro si poteva fare?”». Poi, al bar, la conversazione si fa di convenevoli, e ai due resta l’impressione di un funzionario «normale, forse un po’ evasivo o che ha poco da dire». Due giorni dopo, l’arresto del presunto stupratore seriale.
Angius lo ascolta dalla tv ma sulle prime non collega.

«Al tg non l’ho riconosciuto, ho capito solo la mattina dopo e sono rimasto letteralmente sbalordito, non ci potevo credere, sono corso a farmi due caffè consecutivi...». Riammesso nel Pd con una tessera vidimata da uno stupratore seriale, o presunto tale: quasi il segno beffardo del partito che «non s’aveva da fare», nato sotto una stella maledetta.

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