da Roma
Un anno vissuto pericolosamente. È la sintesi degli ultimi dodici mesi trascorsi da Alitalia, messa in vendita dal Tesoro senza mai trovare il pretendente giusto.
Eppure nel dicembre 2006 lottimismo era di casa in Via XX Settembre. Il nuovo governo aveva le idee chiare, almeno così sembrava, e le aveva messe su carta. Trattativa diretta per la cessione di una quota non inferiore al 30,1 per cento. Il pretendente, che avrebbe dovuto lanciare quindi unOpa obbligatoria, sarebbe stato selezionato direttamente dal venditore.
La genericità dellannuncio invogliò ben 11 pretendenti. Tra questi sempre Ap Holding di Carlo Toto, M&C di Carlo De Benedetti, Unicredit (alla quale poi si sarebbe aggregata la russa Aeroflot) e alcuni fondi di private equity tra i quali Texas Pacific Group e MatlinPaterson. Oltre allimprenditore Paolo Alazraki con la sua Wonders & Dreams.
Il caravanserraglio fu scremato a febbraio dalla presentazione del rigido bando di gara: mantenimento della connotazione italiana e dei livelli occupazionali. Praticamente un invito a desistere confermato dallassenza dei grandi vettori europei. Infatti restarono solo in tre: Ap Holding con Intesa e Mps, Unicredit con i russi, Matlin con Mediobanca. Alla fase delle offerte vincolanti non arrivò nessuno
A fine luglio ribaltone: lex Iri Maurizio Prato alla presidenza, nuovo piano stand alone e incarico diretto per la vendita. In agosto entrò in scena la composita cordata Baldassarre che riunisce interessi italici, africani e mediorientali oltre alla comprovata esperienza di Giancarlo Elia Valori.
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