Letteratura

Aramburu e la lotta armata contro i mulini a vento

Nel 2011 due militanti dell'Eta combattono la loro velleitaria e comica battaglia fuori tempo massimo

Aramburu e la lotta armata contro i mulini a vento

Se il fortunato romanzo Patria dello scrittore Fernando Aramburu, nato a San Sebastián in territorio basco, è la storia di due famiglie legate da un rapporto di vicinanza e amicizia, improvvisamente travolte dal terrorismo dell'Eta, il nuovo libro Figli della favola, pubblicato da Guanda (pagg. 314, euro 20, traduzione di Bruno Arpaia), più che una continuazione (lo è dal punto di vista cronologico), è una parodia dei seguaci dell'organizzazione politica che vogliono continuare a oltranza la lotta militare. Soprattutto è un giudizio morale in forma ludica, che lo scrittore esprime attingendo a un umore sottile - più satira che sorriso - per raccontare la grande tragedia di un passato gravido di morte che ha colpito la regione del nord della Spagna e che ora due ragazzi ventenni, Asier e Joseba, il primo duro e controllato, il secondo timoroso e insicuro, entrambi ispirati dall'ideologia nazionalista, vogliono vivere da protagonisti sebbene - siamo nell'ottobre del 2011 - il gruppo terroristico abbia dichiarato la fine della lotta armata e lo scioglimento delle sue cellule.

Al lettore viene subito in mente il Don Chisciotte, non solo per la presenza delle due voci dialoganti che si intrecciano continuamente, ma anche per il genere della commedia farsesca che adotta la scrittura del romanzo di Aramburu: troppo ovvia e scontata sarebbe la critica diretta contro i due parvenu che vogliono prolungare la guerra dopo che è stata proclamata la sua fine. Il registro stilistico del romanzo è dunque ludico, fluido e spontaneo nel racconto dei due protagonisti che, raggiunta la zona basca francese vicino a Tolosa, attendono in un allevamento di galline di essere istruiti nell'uso delle armi e dove vengono a sapere che l'Eta ha rinunciato alla lotta annunciando in tv lo scioglimento del gruppo.

Abbandonati a sé stessi, privi di mezzi e denaro e senza alcuna esperienza militare, Asier e Joseba non si arrendono e fondano una nuova organizzazione composta solo da loro due. Quindi ignorano ogni invito a desistere, come rifiutano di trasferirsi in nuovi campi di battaglia, in Messico o il Venezuela, sicuri di voler continuare la lotta nei sacri luoghi baschi, combattendo per il trionfo della loro causa. Il lettore del Don Chisciotte continua a pensare che i protagonisti assomigliano molto ai due personaggi del capolavoro di Cervantes che, lungo l'assolato cammino della Mancia, scambiano le grandi pale dei mulini a vento per giganti mostruosi contro cui si scagliano esaltati, gridando all'impresa eroica che compiono.

Figli della favola richiama anche alcuni motivi caratteristici della picaresca spagnola: la terribile fame sofferta dai due giovani, il faticoso cammino da percorrere, l'impossibile ricerca di un protettore, insomma l'incertezza di un futuro oscuro e difficile. L'ironia emerge a tutto tondo soprattutto quando l'autore indugia a descrivere le imprese dei due militanti votati alla guerra che organizzano parodie di imboscate vissute tra furti, infruttuose esplorazioni e confuse battaglie. Il romanzo comprende anche viaggi e improvvisi ritorni in Spagna: il lettore sorride nel seguire le strabilianti imprese dei due prodi che, al posto delle granate, lanciano pietre grezze e nelle esercitazioni militari imbracciano manici di scopa invece dei fucili. Clandestini, poveri e affamati, considerano una grande impresa il furto di un vaso di miele in un supermercato.

Nel torbido e cieco fanatismo che li guida, Asier e Joseba vivono momenti difficili in cui non mancano colpi di scena e avventure impreviste, come l'incontro con i tifosi di calcio del Tolosa che, frustrati per la sconfitta della loro squadra, sfogano tutta la loro rabbia su di loro, responsabili inoltre di criticare la violenza creata da quello sport che essi vorrebbero abolire, mentre giustificano le azioni terroristiche come il legittimo obiettivo di un ideale politico. Nessun impedimento esterno li scoraggia: il freddo, la fame, la vita randagia, i terribili acquazzoni che li costringono a improvvisi ripari sotto fragili tettoie, tutto questo ed altro non intaccano la loro fede ostinata. Solo alla fine nascerà il dubbio e sorgerà spontanea la domanda: «Chi ci ringrazierà per tutti questi sacrifici?».

Nei momenti di maggiore sconforto, quando la malattia, causata dalle grandi sofferenze fisiche, mina la salute del corpo, Joseba, febbricitante, invoca il nome della madre; il legame familiare, già affrontato dai compagni e votato per alzata di mano, non è più considerato un segno di debolezza. Asier così rassicura il compagno malato: «Per il bene del nostro popolo, tu e io continueremo la lotta armata, però tranquillo. Prima guarisci».

Di grande impatto orale, la scrittura scorre veloce e registra i vari timbri e le voci colorite del gergo giovanile - un continuo turpiloquio - dove la nota umoristica non oscura la fede degli irriducibili che vedono la violenza come la sola arma efficace di convinzione. Ingenuità, fanatismo, progetti di attentati a favore di una causa che la storia ha già condannato, portano all'estremo e al ridicolo l'obiettivo violento dei due giovani protagonisti che vogliono continuare la lotta armata. Abbonda l'ironia quando i due eroi pensano agli scrittori che in futuro dovranno immortalare le loro imprese. Joseba si chiede perplesso: «saranno capaci di farlo? O racconteranno la storia di due perdenti?».

A ben guardare le avventure vissute dai due personaggi mostrano aspetti più comici che eroici: alla fine il dubbio sfiora la mente di Joseba che riflette e si predispone ad essere in futuro l'autore della missione eroica. Intanto proseguono i preparativi per la guerra, mentre fa ingresso la giovane María Cristina che entra nella vita dei ragazzi e, a modo suo, complica i piani della lotta armata. Poi tutto sfuma e si allontana.

Asier scompare per sempre nel buio di un tunnel, metafora forse di una vita non vera: la lotta svanisce e si perde il racconto della favola come recita il titolo del libro.

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