«Argot meneghino»? Tutti pazzi per il dialetto

Associazioni, circoli, biblioteche e ora anche una chiesa si dedicano allo «slang» ambrosiano

Massimo Piccaluga

La città è divisa: per alcuni esperti ridare fiato al dialetto potrebbe riportare alla luce la vera identità di Milano; per altri la più genuina essenza di Milano è quella della città aperta, multilingue e multirazziale. Sta di fatto che all’ombra della Madonnina si è risvegliata una voglia matta di «argot meneghino». A provarla sono soprattutto persone dai 40 anni in su, con una buona cultura di base e spesso con una laurea. Ma c’è anche qualche universitario incuriosito dalla parlata dei nonni, un buon 10 per cento di meridionali e qualche appassionato straniero.
I luoghi per imparare non mancano: all’Accademia del dialetto milanese, in via Cornaggia, 16 i soci attraverso il mensile «Sciroeu de Milan» - che significa pressappoco «il meglio di Milano» - cercano di favorire la diffusione di poesia, musica, arti figurative, storia e folclore locale. Presso il Circolo filologico milanese, in via Clerici 10, tutti gli anni da gennaio a maggio si organizzano incontri settimanali (la quota è di 60 euro) in cui i docenti (tra questi lo storico Rino Gualtieri e il saggista Cesare Comoletti) approfondiscono norme di fonetica e grammatica, propongono letture e dettati, svelano curiosità, organizzano recite e sketch teatrali. Idem all’Università della terza età in piazza San Marco.
Ci sono poi realtà minori che comunque non stanno a guardare: nella biblioteca rionale di Baggio, in via Pistoia 10, una media di 20 partecipanti all’anno scopre gratuitamente Carlo Porta e Delio Tessa (Alegher, l’è el dì di mort!) imparando i termini più desueti del vernacolo ambrosiano. E ancora: al liceo serale Gandhi in via San Marco, 2 annualmente si organizza da febbraio a giugno un corso (prezzo 100 euro) in cui alla lingua e alla letteratura di Milano si affiancano l’insegnamento della toponomastica e della geografia delle acque cittadine. Non è tutto. Alla Barona l’associazione El Pontesell da otto anni si dedica alla diffusione del dialetto in rapporto a storia, luoghi e abitudini della vecchia Milano: un successo che da fine settembre a fine maggio porta ogni lunedì dalle 17.30 alle 19.30 una settantina di persone nelle sale della biblioteca Fra’ Cristoforo, nella via omonima.
Anche la Libreria Plana, in zona Certosa, quest’anno ha organizzato cinque affollatissimi incontri dedicati alla poesia e alla letteratura milanese. E perfino la Chiesa sta cedendo al fascino discreto dello slang ambrosiano: nella parrocchia di San Cipriano, in via Carlo d’Adda 31, ogni terzo lunedì del mese alle 15.30 ci si riunisce nel teatro parrocchiale per dare la stura alla propria creatività vernacolare e per leggere e cantare le rime e le ballate dei grandi milanesi del passato.
Insomma un boom che in città sta ricreando il connettivo stesso della burbera ma dolce parlata meneghina: oggi a parlare correttamente il milanese non ci sarebbero più di 30 mila persone. Ma cosa si insegna in queste scuole di rito strettamente ambrosiano? Grammatica, sintassi, ortografia e pronuncia rappresentano la base. Testi sacri: il dizionario italiano milanese a cura di Claudio Beretta e Cesare Comoletti della Vallardi; la Grammatica di Luigi Carcano; i libri di poesie vernacolari di Carletto Pierotti; un testo di sketch in milanese dal titolo «Se la va la g’ha i gamb» di Carlo Finestra (pseudonimo del curatore, Carlo Brambilla, con facile allusione al Porta) edito da Mursia per citarne solo alcuni.
Ogni realtà si distingue poi per qualcosa di originale: «Da noi - dice per esempio Alma Brioschi coordinatrice dei corsi al Filologico - in aggiunta al corso di grammatica e di sintassi si svolgono anche incontri di recitazione e di letteratura milanese, quest’ultimo organizzato dal professor Rino Gualtieri». Invece Annamaria Paganini, ex ragioniera, sarta e animatrice degli incontri alla biblioteca di Baggio, fa lezione soprattutto sui termini desueti e sulla corretta pronuncia: «Chi si ricorda - dice - che le busecchine sono le castagne secche? E che i erbion sono i piselli? O che la tegnoeula è il pipistrello?».
Giorgio Caprotti, 30 anni di chirurgia d’urgenza in un grande ospedale e per hobby animatore di affollati corsi all’Università della terza età, mette al centro del suo insegnamento la «milanesità» intesa come modo di vivere e non solo di parlare: «Il modo di comportarsi del milanese - svela Caprotti - non è mai plateale. Nemmeno quando devolve milioni in beneficenza. Nemmeno quando sta male: se è malato perché ha la febbre, più il vomito, più la diarrea, più la depressione dice solamente Son gnecch. E lo dice sottovoce!».
Molto spazio viene dato anche a improvvisazione teatrale e musica. Alla parrocchia di San Cipriano la coordinatrice, Ada Lauzi, ha un filo diretto col complesso folcloristico i CantaMilano per incoraggiare gli incontri canori coi suoi allievi.

Infine Pietro Passera, animatore dell’associazione El Pontesell insegna i luoghi di Milano «preja per preja» (pietra per pietra) perfino nelle scuole primarie della Barona: «Ce n’è davvero bisogno - dice Passera -. Quando un ragazzino ti risponde che piazza del Duomo è quel posto che si trova di fianco alle vetrine di Burger King - conclude allarmato - evidentemente c’è qualcosa che non va».

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