Aristotele e i gesuiti In carcere non si fanno letture «d’evasione»

Filosofia e meditazione, ma anche tecnologia e informatica: un’indagine rivela quali libri scelgono i detenuti di S. Vittore

Luca Gallesi

Sembra esserci un rapporto inversamente proporzionale fra libertà e lettura, almeno questo è ciò che emerge da una rapida indagine tra alcuni detenuti di San Vittore. La diversa scansione del tempo imposta da un’inevitabile routine impone, come unica via d’uscita, la lettura, mai come in questo caso, considerata «d’evasione». Qui c’è una fornitissima biblioteca centrale, ricca di decine di migliaia di volumi, a cui si sommano le piccole biblioteche presenti in ogni raggio e a cui possono attingere liberamente i detenuti. A questo si aggiunge la possibilità di farsi portare i libri dai propri famigliari senza incidere sul peso del «pacco» (20 chili) concesso mensilmente a ogni detenuto.
Nonostante la presenza, talvolta invadente, di televisori accesi in quasi tutte le celle, la lettura è un’attività apprezzata e condivisa da molti carcerati, soprattutto da quelli che, condannati in via definitiva, sanno di non essere di passaggio e devono quindi organizzare meglio le lunghe giornate. «La cultura, nella dimensione carceraria, è di importanza vitale» afferma Emilia Patruno, giornalista professionista e da anni operatrice volontaria nel mondo delle carceri, apprezzata al punto di meritare la più alta onorificenza della Repubblica. «Quando a un detenuto si parla di cultura, vedo una luce accendersi negli occhi: non gli sembra vero che qualcuno, dall’esterno, venga a scambiare delle idee e a suggerire discorsi diversi da quelli, interminabili e ossessivi, della pena, del reato e della sofferenza. Può bastare davvero poco a distrarre i carcerati dalla loro condizione, e spesso il libri possono aiutarli a scoprire un percorso di miglioramento individuale. In molti mi confidano: “Ah, se avessi letto di più, forse non sarei finito qua dentro!” E io ci credo, dato che alcuni ex-detenuti, una volta scontata la pena, mi sono rimasti vicino e collaborano con me al progetto culturale “ildue” (www.ildue.it) con passione e volontà che, prima, non immaginavano neppure di possedere».
E infatti sono parecchi i detenuti che partecipano alle iniziative promosse da «ildue», che prende il nome dal numero civico di Piazza Filangieri dov’è l'entrata al carcere.
«Ho smesso di leggere dopo la scuola, e ho ripreso questa attività quando sono entrato qui» racconta Pino, un detenuto tra i più attivi a fianco di Emilia. «Durante la mia permanenza in carceri speciali, poi, i libri me li “bevevo” davvero, uno dopo l’altro, soprattutto i romanzi ma anche tutto quello che riguarda il mondo tecnologico e informatico». Leonardo, un altro detenuto, ha incontrato anche libri difficili e importanti, come quelli di Aristotele, che ha imparato a comprendere e ad amare: «Qui non mancano di certo né il tempo né i libri, semmai è difficile trovare la giusta intimità per entrare nel “vivo” della lettura». Luca, invece, non è incappato in libri che gli hanno cambiato la vita, anche se, ammette «i libri che ho letto mi hanno sempre spinto a cercare di capire e capirmi per affrontare meglio la mia crescita». Già, perché, anche se talvolta lo rimuoviamo, in carcere le persone affrontano, volenti o nolenti, un percorso, se non di crescita, almeno di comprensione di sé e di accettazione dell’altro, come Nicola, che ama i libri di meditazione, come quelli del gesuita indiano poco ortodosso Anthony De Mello: «Se li avessi letti prima, forse avrei occupato meglio il mio tempo...». Invece Francesco, che confessa, ultimamente, di leggere meno del solito, è incuriosito dal libro per tante ragioni, a volte ignorati dal marketing delle case editrici.

Tutto il can can sollevato attorno al Codice da Vinci, ad esempio, gli ha tolto il desiderio di leggerlo: «In fondo un libro ti può attrarre per mille motivi, anche estetici, come una donna: se ti piace vai fino in fondo, altrimenti abbandoni. E con i libri c'è un vantaggio: puoi lasciare ma mai essere lasciato...».

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