Economia

Arpe: «Nessuna fusione allo studio»

Marcello Zacché

da Roma

«Corrado Passera dice che la fusione Intesa-Capitalia sarebbe un bene per le due banche e per il Paese? Concordo per quello che riguarda Intesa». Così, sornione, spirito un po’ british, Matteo Arpe fredda da Roma gli entusiasmi milanese. L’amministratore delegato di Capitalia, dopo 7 ore di assemblea, la prima senza Cesare Geronzi (ma chiamata ieri proprio a confermare la fiducia al suo presidente), ha commentato dalla sede dell’Eur le notizie che arrivavano da Ca’ de Sass. Una battuta anche perché «in questa vicenda i commenti hanno dimostrato di non essere forieri di buoni risultati».
Poi, dopo aver sottolineato che «la posizione tra ad e presidente di Capitalia è compatta», Arpe ha ripetuto che rispetto a qualche tempo fa non è cambiato nulla: «L’operazione con Intesa non è allo studio, né intendiamo studiarla. Noi puntiamo a una crescita organica». Il che però, detto ieri in presenza delle dichiarazioni dei vertici del gruppo milanese, rafforza un atteggiamento di chiusura.
Tanto che quel 2% di Intesa nel portafoglio di Capitalia rimane lì, allo scopo di impedire un’iniziativa ostile (che per andare in porto dovrebbe comportare il lancio di Opa cash su almeno il 60% del capitale). Non a caso ieri, alla contemporanea assemblea di Intesa, Capitalia non è andata: «Non abbiamo comprato per andare a votare - ha detto Arpe -. Ho molta stima per il vertice, era un atto dovuto».
Alle spalle del vertice del gruppo capitolino, per Arpe «c’è un patto di sindacato compatto che dà al management grande serenità per le scelte future». E questo vale sia per il «risiko bancario», sia per l’affaire Geronzi, risolto ieri dall’assise dei soci: in presenza del 40% del capitale, il 36% ha votato per il reintegro del presidente nelle sue funzioni, in seguito al provvedimento di interdizione emesso due mesi fa dal Tribunale di Parma, in scadenza alla mezzanotte di oggi. Hanno votato contro l’1,3% dei soci e si sono astenuti il 2,6 per cento. Secondo Vittorio Ripa di Meana, presidente del Patto di sindacato che rappresentava il 30,06% del capitale, a non votare a favore di Geronzi sarebbero stati alcuni piccoli azionisti (quelli che hanno contribuito alla durata fiume dell’assise) e qualche fondo.
Non la Fondazione CassaRoma, invece, che ieri (dopo la rottura di tre anni fa e l’uscita dal patto) è tornata alla ribalta con un doppio segnale: ha votato in favore del bilancio, manifestando pubblicamente la soddisfazione per «il proficuo lavoro svolto da Arpe», ma non ha poi partecipato alla votazione su Geronzi. Come a manifestare buona volontà, ma senza sbilanciarsi. Un messaggio raccolto da Ripa di Meana, che ha parlato di «un segnale di collaborazione importante. Speriamo in ulteriori reciproci segnali di collaborazione». E qualcosa nel patto potrebbe muoversi presto: Toro (1%) uscirà a luglio. Lo ha detto Ripa di Meana.

E la quota potrebbe interessare Fininvest (che da ieri ha il suo ad, Pasquale Cannatelli nel cda, e che potrebbe aumentare il suo 1%), ma anche ad altri: «Molti soci del patto sono interessati a crescere», ha detto Arpe.

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