Arrestato il cugino di Cassano: «Lavora per la mafia di Bari»

Era appena tornato da Madrid dove aveva aiutato il calciatore nel trasloco

da Bari

Quando i carabinieri del reparto operativo di Bari si sono catapultati nel cuore della notte in casa di oltre cento presunti affiliati al clan degli Strisciuglio, non erano certi di trovarli tutti. Di Saverio Bottalico, 31 anni, accusato d’avere preso parte al traffico di stupefacenti che la Dda riconduce all’organizzazione criminale, i militari sapevano infatti che fino a pochi giorni fa si trovava a Madrid, per aiutare nel trasloco il suo celebre cugino, il calciatore Antonio Cassano. E nella capitale spagnola, spiegano gli investigatori, Bottalico avrebbe dovuto presto far ritorno, se il suo nome non fosse finito nelle maglie dell’operazione Eclissi che nella notte scorsa ha mobilitato oltre mille carabinieri da tutta la Puglia e guidati dal reparto operativo, e circa 120 agenti della squadra mobile coordinati dalla Direzione centrale anticrimine.
Minorenni impiegati nelle azioni di fuoco, donne a capo dell’attività di collegamento e della spartizione degli utili, controllo militare del territorio, grandi quantitativi di armi da fuoco e da guerra a disposizione. Così il clan Strisciuglio, nato nel ’97 dal dissolto clan Laraspata, s’era guadagnato la fama di più potente e temuto gruppo criminale di Bari, messo in ginocchio dall’indagine coordinata dal pm Desiré Di Geronimo e ricostruita nella monumentale informativa (circa 60mila pagine) confluita nelle 1.820 pagine di ordinanza di custodia cautelare del gip Giuseppe De Benedictis, notificate la notte scorsa a 182 indagati, di cui 70 già detenuti. Alle persone coinvolte nell’inchiesta, 215 in tutto, 33 a piede libero, vengono contestati reati dall’associazione mafiosa al traffico di droga, dal porto illegale d’armi al contrabbando di sigarette, passando per due omicidi e due tentati omicidi. Oltre 7 milioni di euro i beni, mobili e immobili, posti sotto sequestro.
L’organizzazione era curata nei minimi dettagli: dall’addestramento agli scontri a fuoco con i clan avversari per la difesa del territorio (il rione-roccaforte di Carbonara e altri quattro quartieri sotto controllo) e la conquista di nuovi spazi. Le donne, secondo la Dda, ricevevano tra i 150 e i 6mila euro a settimana, a seconda del ruolo; si preoccupavano di far fronte alle spese dei detenuti, accompagnate dentro e fuori le carceri, fin nel nord Italia, da complici debitamente addestrati, e agli «operativi» trasmettevano gli ordini dei boss. Una dozzina di minorenni custodivano l’armamentario e spacciavano la droga, che chiusa in appositi involucri e lanciata dai palazzi vicini entrava persino nel carcere di Bari. Dove gli affiliati detenuti pestavano chi rifiutava di associarsi al clan e commissionavano omicidi come quello sventato di recente dai carabinieri davanti al palazzo di giustizia, con le «vedette» già pronte a confondersi tra la folla nel mercato rionale, e i sicari allertati per recuperare pistole e mitragliette nascoste nel vicino cimitero.


«Sostegno incondizionato del governo e ammirazione di tutti i cittadini onesti», sono arrivati a magistrati e investigatori dal ministro dell’Interno Beppe Pisanu, assieme al «compiacimento» del sottosegretario Alfredo Mantovano. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, sottolineando il «fenomeno preoccupante» del coinvolgimento dei minorenni, ha parlato di un «giorno molto importante per le istituzioni in trincea».

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