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L'arte contemporanea nel Panorama del passato

A Pozzuoli si è inaugurata la quinta edizione del progetto che coinvolge le maggiori gallerie italiane. I progetti di 47 artisti dialogano con una terra vibrante, tra Mito e bradisismo

L'arte contemporanea nel Panorama del passato

I progetti di public art che mettono gli artisti a contatto e in dialogo con i luoghi, la loro storia e la loro identità, rappresentano in assoluto una delle sfide più interessanti per l’arte contemporanea. In questo senso merita senz’altro un plauso il progetto “Panorama” che inaugura in questi giorni la sua quinta edizione e che vede direttamente in campo le gallerie operanti in Italia in una mostra diffusa, questa volta a Pozzuoli e tra i siti archeologici più importanti dell’area Domiziana. La nuova tappa che arriva dopo quelle di Procida, Monopoli, L’Aquila e il Monferrato, consta dell’intervento di 47 artisti scelti e promossi da 45 gallerie d’arte aderenti al progetto di Italics, format ideato e presieduto da Lorenzo Fiaschi. Fiaschi, per intenderci, vanta un lungo pedigree essendo uno dei fondatori dell’associazione Arte Continua (nome anche dell’omonima galleria con sedi a San Gimignano e in varie parti del mondo), la stessa associazione che trent’anni fa promosse Il programma “Arte all’Arte” in Toscana, con i progetti dei maggiori artisti internazionali tra i borghi della regione. Nel caso di Panorama, la scelta verte su luoghi italiani di forte significato storico o antropologico, e l’area di Pozzuoli vanta un genius loci particolarmente potente, come ha sottolineato lo stesso Fiaschi: “Quello che ci ha colpito subito è la stratificazione: non solo quella storica evidente nei monumenti, nell’architettura, nei resti romani, ma quella emotiva, umana. C’è una bellezza viva che convive con una certa fragilità, il bradisismo, i segni del tempo, le trasformazioni urbanistiche, tutto contribuisce a creare un luogo dove il passato non è un ricordo ma una presenza costante“.

L’impatto con luoghi così forti e che trasudano un’aura di mito e di mistero decantata da Virgilio, da Varrone e dalla tradizione orale della Magna Grecia, è senz’altro emozionante: per il pubblico, e a maggior ragione per gli artisti. E altrettanto emozionante è ancora una volta l’idea di addentrarci nella geografia delle opere che in questo caso si declinano tra siti archeologici, chiese, gallerie sotterranee, terrazze panoramiche, vestigia e botteghe: dall’anfiteatro Flavio, tra i più grandi costruiti durante l’impero romano, al parco pubblico di villa Avellino, dalla chiesa di San Raffaele Arcangelo all’area esterna della chiesa del Purgatorio, fino al Rione Terra con il suo percorso archeologico sotterraneo e poi, dulcis in fundo, verso il parco archeologico dell’acropoli di Cuma. La mostra (se così vogliamo chiamarla) a cura di Chiara Parisi oscilla tra momenti topici, come l’entusiasmante “oracolo contemporaneo” animato dal grande William Kentridge nell’antro della Sibilla cumana, ad altri francamente più pretestuosi e un po’ appiccicati al fil rouge tematico dedicato alla divinizzazione che si ispira ai numerosi culti pagani e monoteisti stratificati nella storia di questi luoghi. Troppo scarso probabilmente il tempo di progettazione da un anno all’altro per poter coinvolgere attivamente gli artisti su progetti site specific (come ben si converrebbe) e troppo pochi anche quattro giorni di fruizione per il pubblico, con il rischio che il progetto delle gallerie d’arte non lasci un segno tangibile sul territorio, ma rimanga un episodio autocelebrativo. A volte si fa fatica a capire il senso di alcune opere datate (anche old masters ) che ben poco hanno a che fare, per forma e contenuto, con il genius Loci (che cosa hanno a che fare con quei luoghi i “fibonacci” di Mario Merz e i versi di Romeo e Giulietta di Emilio Isgro’? ). Ma apprezzando lo sforzo che, sia pure per qualche giorno, accende i riflettori su aree spesso dimenticate, merita raccontare i sommi capi del percorso espositivo di Panorama Pozzuoli.

I PROGETTI

L’itinerario prende avvio dall’Anfiteatro Flavio, monumento simbolo della gloria imperiale, dove le sculture bronzee di Simone Fattal si stagliano come presenze archetipiche, richiamando miti e letteratura. Al loro fianco, il dialogo tra tempi si intensifica con i lavori pittorici di Servane Mary e una scultura romana del II secolo. Nel cuore della cavea, l’opera sonora D’Incanto di Clarissa Baldassarri si diffonde tra le pietre antiche: voci senza parole, gesti rituali e danze trasformano lo spazio in un organismo vibrante, in cui l’indicibile si fa percepibile. Sotto l’arena, nell’ipogeo, Helena Hladilová innesta cortocircuiti visivi con sculture su frammenti di marmo, mentre Wilfredo Prieto esplora le fragilità della percezione con installazioni concettuali che interrogano il nostro tempo. Fuori dall’Anfiteatro, la città si anima di speakers’ corners disseminati tra la Darsena e Villa Avellino, dove voci diverse – artisti, poeti, attivisti – si alternano in brevi interventi pubblici. Intanto, frasi ispirate all’Eneide riecheggiano nei vicoli, trasportate da una voce che viaggia su una Fiat 500 gialla, trasformando Pozzuoli in una mappa geopoetica.

Clarissa Baldassarri d'Incanto
L’opera sonora D’Incanto di Clarissa Baldassarri

Tra un caffè e una riflessione, al Bar Primavera e al Grottino si tengono le Colazioni con l’Artista, momenti informali di dialogo tra pubblico, curatori e artisti. La domenica, l’incontro culmina con la partecipazione di Chiara Parisi, curatrice della mostra. Il percorso prosegue verso il Cinema Sofia, dove Yuri Ancarani proietta Séance: il grande schermo si fa portale tra la Casa Mollino di Torino e la realtà sospesa del sogno. Alla Chiesa di San Raffaele Arcangelo, la pittura di Celia Paul accende un’intimità silenziosa, mentre sulle scale della Chiesa del Purgatorio le sculture di Walter Moroder evocano presenze misteriose. In Corso Vittorio Emanuele, Lawrence Weiner trasforma un ascensore urbano in un passaggio poetico, con una frase che apre al senso dell’inatteso. Nel cuore del Rione Terra, l’opera di Ugo Rondinone spicca per bellezza e intensità, stagliandosi contro il mare come metafora di un tempo sospeso. Accanto, Simon Starling rilegge la Decapitazione di Caravaggio in chiave installativa. Il Rione Terra diventa poi narrazione viva: ogni pomeriggio, guide locali accompagnano i visitatori tra vicoli e ricordi, intrecciando storia e vissuto personale. Qui, i film di Giuseppe Gaudino e Isabella Sandri raccontano la Pozzuoli popolare e mitica.

William Kentridge Sibily

Nel percorso archeologico sotterraneo, tra i più importanti del Mediterraneo, opere di Simon Dybbroe Møller, Giusy Pirrotta, Marie Denis e Fabrizio Corneli si integrano con i resti romani, mentre Oliver Beer restituisce suoni intimi come reliquie sonore. Mario Merz, Marino Marini, Viviano Codazzi e altri maestri completano un mosaico stratificato di memoria e visione. Risalendo in superficie, opere come le mappe immaginifiche di Sandra Vásquez de la Horra, le cancellature poetiche di Emilio Isgrò, i ricami di Sang A Han e le ninfee artificiali di Gino Marotta ridefiniscono il paesaggio urbano. Nel Duomo di San Procolo Martire, Anish Kapoor porta una visione specchiante e sacra, mentre le opere di Jan Vercruysse, Luigi Primo Gentile, Jannis Kounellis, Gianni Colombo e Carlos Amorales interrogano la presenza, la luce e il tempo. Fuori dal Duomo, Elmgreen & Dragset sospendono la narrazione con un’installazione enigmatica, mentre a San Liborio i carboncini di Felix Shumba, i lavori di Kevin Francis Gray, Giovanni Peruzzini, Maria Grazia Rosin, Rebecca Moccia e David Tremlett proseguono il racconto di una città che è al contempo corpo e anima.

Infine, ciliegina sulla torta, l’intervento di Maurizio Cattelan – il noto bambino che suona il tamburo sospeso su un cornicione – scandendo il tempo dell’attesa e della rinascita. Un gesto sospeso tra cielo e terra, come l’intera mostra: visione collettiva, geografia emotiva, mappa dell’invisibile.

Simone Fattal

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