Marco Polo, professione: mercante, che pure non si arricchì così tanto; scrittore, che non scrisse ma dettò; viaggiatore, che per alcuni storici non compì tutto il viaggiò che narra; e veneziano, però forse di Curzola, isola della Dalmazia, oggi in Croazia ma all’epoca sotto la Serenissima: un «foresto», insomma. È il nome italiano più famoso al mondo, eppure di lui non esiste un ritratto certo, solo mille immagini, tutte di invenzione. Un ritratto di «Vecchio» custodito alla Galleria Doria Pamphilj di Roma, erroneamente attribuito nell’800 a Marco Polo, fu stampato sulla banconota da mille lire che la Banca d’Italia coniò nel 1982: i soldi erano veri, l’effigie falsa. Ma Polo è mito, leggenda, icona pop. Figlio minore di una Venezia che lui rese maggiore, la Repubblica più potente di tutte, Marco Polo (1254-1324) è una banconota vintage, un aeroporto, cento agenzie di viaggi, un brand, un passepartout del genio italiano nel mondo, un ambasciatore del libero mercato. È un ragazzino - aveva 17 anni - che con il padre e lo zio, partì per l’Oriente, lungo una delle vie della Seta, per tornare a Venezia - carico di gloria, mercanzia e una testimonianza unica nella storia dell’umanità – nel 1295, dopo 24 anni. A muoverlo fu la curiosità, il desiderio di libertà e l’interesse commerciale, fiero rappresentate di una città che fece dei propri interessi la sua fortuna.
Ma poi, prima del Marco Polo dell’orgoglio nazionale, prima del Marco Polo della letteratura e delle leggende di viaggio, prima del Marco Polo immaginifico il cui volto abbiamo visto in così tanti film e sceneggiati, prima del suo alter-ego mitico, c’è il Marco Polo della Storia. Al quale Venezia dedica la grande mostra, insieme spettacolare e scientifica, I mondi di Marco Polo. Il viaggio di un mercante veneziano nel Duecento a Palazzo Ducale (da oggi al 29 settembre). È anche un’occasione geo-politica. Nel XIII secolo ambasciatore per conto dell’imperatore mongolo della Cina in Occidente, oggi Marco Polo può esserlo per l’Italia in Oriente – dove è ancora più conosciuto che da noi – nell’anno dei sette secoli dalla morte. Un viaggio dentro il viaggio straordinario che Marco Polo compì dall’Europa, al Medio Oriente all’Asia riportando con sé un patrimonio inestimabile di usi, costumi, idee, prodotti, informazioni geografiche che poi rimise in circolo nella Venezia del suo tempo e destinate ad arrivare fino al nostro.
Allestita negli appartamenti del Doge, dodici sale, dieci mesi di lavoro, oltre 300 pezzi esposti (provenienti da musei italiani e europei ma anche dell’Armenia, Cina, Qatar), «costata moltissimo» come ha detto il sindaco Luigi Brugnaro, due curatori - Giovanni Curatola e Chiara Squarcina – e un catalogo imponente pubblicato da Magonza, la mostra è ricchissima e intellettualmente appassionante. A patto però di scostare il velo di retorica che ha rischiato di avvolgerla nella presentazione istituzionale: Marco Polo come l’uomo dell’incontro fra due civiltà, il multiculturalismo ante litteram e l’enfasi fuori contesto dell’inclusione... La storia semmai dimostra che quando due culture diverse si incontrano, prima deflagrano guerre, razzie, sopraffazioni, invasioni, poi – semmai – inizia una lenta assimilazione. Ed eccolo il racconto della vita, l’opera, il tempo e il viaggio di Marco Polo. Si parte da Venezia e dalla sua casa nell’area di san Giovanni Crisostomo, «dal sotoportego, corte seconda, ponte del Milion», con l’esposizione di inediti reperti, frutto di scavi condotti nell’area del Teatro Malibran e si arriva fino alla fortuna di Marco Polo nell’800-900, fra affiches, litografie pop, libri illustrati, stampe e manifesti. In mezzo, ci sono tutti i mondi del viaggiatore veneziano, diviso per stanze. L’Armenia cristiana con i suoi monasteri, le croci, i manoscritti... L’Islam con i suoi tessuti, le tende dei nomadi, le miniature, le coppe in ceramica,... L’India, le cui coste rappresentarono un ponte tra Oriente e Occidente. E la Cina del Celeste Impero con le sue porcellane, le statuine mongole, i sigilli, i bruciaprofumi, la giada, gli specchi...
In un ordinato accumulo di mappe, atlanti, astrolabi, vasi, tessuti e opere d’arte, segnaliamo alcuni pezzi imperdibili. Il grande arazzo di Zoran Mušič (1909-2005) Storia di Marco Polo, un pannello ricamato lungo 8 metri e mezzo che l’artista sloveno di nascita e veneziano di cultura realizzò nel 1951. La piccola miniatura, in un manoscritto arabo del XIV secolo, raffigurante La nascita del Profeta (uno dei rari casi in cui si accetta di dare volto a Maometto). Il Mappamondo di Fra’ Mauro (1450) che contiene circa tremila luoghi di cui 120 riconducibili alla “geografia” di Marco Polo. E soprattutto, naturalmente, decine di preziose edizioni a stampa del Milione, il testo che Marco Polo dettò a Rustichello da Pisa (anzi: che fu costretto a dettare dai genovesi che volevano quante più informazioni possibili sui nuovi mercati) mentre i due si trovavano nelle carceri di San Giorgio a Genova.
Intitolato originariamente Devisement dou monde e scritto in un francese pieno di italianismi - un po’ relazione di viaggio, un po’ forse romanzo, un po’ diario - il Milione è un libro che attraversa i secoli, proliferando in traduzioni e diverse versioni, in cui Marco dice di «riferire le cose viste come viste e quelle udite come udite». Sta poi al lettore fidarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.