Controcultura

Le piccole grandi cose dei quadri di Bulzatti

Nella mia memoria Bulzatti nasce nel 1981 davanti a un cavalletto, nel suo studio, in una chiesa abbandonata tra Bologna e Ferrara, con una natura morta e un teschio, un memento mori secondo tradizione

Le piccole grandi cose dei quadri di Bulzatti

Nella mia memoria Bulzatti nasce nel 1981 davanti a un cavalletto, nel suo studio, in una chiesa abbandonata tra Bologna e Ferrara, con una natura morta e un teschio, un memento mori secondo tradizione.

La pittura è molle, cremosa, soffusa di luci e di ombre. E Aurelio dipinge con un maglione, come se la pittura fosse la più naturale delle attitudini dell'uomo, che non si atteggia e non si esalta. Però gli piace che la scultura della nicchia cada proprio sul suo braccio nell'atto di dipingere. L'atmosfera è lottesca, nel tempo estremo di Lorenzo Lotto.

Un autoritratto disarmato, cui segue (1982) una natura morta onirica davanti a una grande bifora sul davanzale della quale si affacciano studiatamente un candelabro, due limoni, un libro e un televisore acceso per trasmettere le celebrazioni del venerdì di Pasqua, mentre contro il cielo tempestoso si vedono i tre crocifissi.

La malinconia delle cose è nel loro casuale abbandono. È molto intenso l'effetto delle due luci, quella calda e diffusa della candela e quella vitrea e grigiastra dello schermo televisivo. Bulzatti si rivela pittore di atmosfere, capace di animare anche le cose più insignificanti, lontanissimo da ogni simbolismo. Sia chiaro la pittura può essere solo di piccole cose. Non c'è spazio per i grandi temi, per la propaganda, per l'ideologia. Bulzatti è molto più programmatico o intransigente di Frongia e lo mostra anche nella citazione molto indiretta di temi classici, rinascimentali e impressionistici, come Interno con donna di quello stesso lontano 1982. La donna nuda è seduta senza enfasi in una stanza, con la finestra aperta contro un paesaggio collinare. La semplicità allontana qualunque riferimento a fonti. Bulzatti sembra più attratto dalla natura morta di frutta o dal vaso sullo sgabello. È l'antiretorica che troviamo in Allegoria della felicità, tra putti che rovesciano un vaso d'acqua e un reliquiario per grazia ricevuta. Pretesti di pura pittura dal vero, che si misurano con una mela solitaria. Sembra che, in questi anni, Bulzatti si eserciti sulla pittura antica senza retorica, per il puro piacere dell'esercizio pittorico, ammiccando alla scuola veneta come in Sogno. Nel 1984 derubrica ogni riferimento al mondo antico per il piacere dell'impasto pittorico, che fa vibrare il laterizio, in La piazza. Grande compostezza, semplicità, negli spazi abbandonati. L'84 si chiude con l'incomunicabilità dichiarata in Interno coppia. La vocazione di Bulzatti è intimistica e ne dà prova nel piccolo capolavoro che ebbe l'amabilità di regalarmi con la Piazza di Ro davanti alla casa dei miei genitori, in un meraviglioso effetto notturno che rende eloquente, nella sua sobrietà, quell'angolo sperduto del mondo nel silenzio e nell'assenza. La pittura è perlacea, preziosa animata, in una prova di pura poesia.

Questo stesso intimismo si ritrova nel misterioso Interno con donna dove il volto del pittore è oscurato, in controluce, come soffocato davanti alla imperiosa maestà della carne femminile toccata con vibrazioni degne della grande pittura veneziana e ferrarese, da Scarsellino a Cagnacci.

Un piccolo capolavoro è anche Piazza del 1986, con la citazione dell'antico, sfocata, illanguidita, come per inseguire in diversi soggetti l'ansia materica di Morandi. Sempre sentiamo, nei dipinti di questo tempo, l'atmosfera padana.

Nell'87 tocca il capolavoro con una Natura morta mistica: si animano le cose su quel tavolo rosso con la finestra e la porta studiatamente aperte. La materia vibra nello stesso spirito, nell'atteggiamento della malinconia, tenendosi stretto ad alcuni oggetti amati, cui affida in quelle stesse stanze, con la porta aperta verso altri spazi, il proprio autoritratto.

Negli anni Novanta la vena intimistica si accentua e si amplifica, per superare il rischio di un compiacimento crepuscolare. Ecco la bella invenzione della Donna che si specchia, resa con una pittura densa e intensa che contrappone l'inganno dello specchio, con la porta aperta sullo studio del pittore, alle calde nature morte sul comò, viste in presa diretta. Il capolavoro arriva nel 1991 con Il pane di Ferrara, nella semplicità degli oggetti che competono veramente con le nature morte di Morandi, e la porta aperta verso spazi misteriosi, con esplicito riferimento ad Hammersoi, come era già stato altrove, e a Giuseppe Ar.

Dopo la perfezione di questi interni così vibranti e puri, Bulzatti si concede a una lettura intimistica di un Bar di periferia di notte (1994). Qui, come in altri esterni, la fonte è evidentemente Hopper, ma l'esito è rigorosamente introspettivo dando un'interpretazione sentimentale anche di un povero edificio di periferia.

Hanno qualche interesse anche sperimentazioni di pittura alienata come Autoritratto del '93, Coppia del '96 e, quasi in concorrenza con le proiezioni mitologiche dell'amico Frongia, con Quattro figure, Narciso, Beato. Così Bulzatti arriva al nuovo millennio, tentando una nuova dimensione interno/esterno. Vediamo questa sintesi riuscita in Altare domestico, del 2003.

Sono gli anni in cui il mondo delle periferie urbane stimola in Bulzatti una pittura sociale, non di denuncia ma di infinita pietas per una umanità umiliata, spingendosi fino ai soggetti più degradati e apparentemente impoetici, come Cassonetto e Donna cassonetto o il dolente e tragico Notturno metropolitano, con il corollario di Donna che piange.

Un episodio interessante, quasi in sintonia con lo spiritualismo di Franco Battiato, è nell'episodico Mistici. Le periferie impongono a Bulzatti anche un ripensamento del mondo femminile. Lo vediamo in Gravida (2009), Donna in strada (2012), Tre birre del 2013 con una vaga riminiscenza del Picasso del periodo rosso. Ed eccolo sfiorare il clima di Come un gatto in tangenziale. Ma anche in questa fase Bulzatti si ritaglia momenti di pura bellezza e di pura emozione, come nell'accostamento tra piatti di cibo e immagini video in Cena con Hendrix.

Una nuova figura umana senza retorica comincia ad apparire nel 2015, e subito culmina nell'intensissimo ritratto di Sabrina del 2016. Da lì derivano anche immagini femminili nella gabbia di edifici condominiali, con riflessi di luci notturne. Il dialogo tra figura e spazio è dichiarato nei titoli: Donna incrocio, e Donna piazza, fino a Ingorgo, con la bella idea di segnali stradali che rimandano a Jasper Johns e a Carlo Guarienti.

La ricerca continua nelle opere dell'ultimo tempo, di straordinario impasto cromatico, come Uomo palazzo (2021), Donna che si mostra (2022), Donna che si specchia (2022), Donna che prega (2022).

Da ultimo vediamo un ritorno agli interni, in singolare equilibrio tra Bonnard e Munch, in Donna che si alza (2023).

Lo spirito inquieto, il ritegno, l'insoddisfazione, uniti a un profondo rispetto per la pittura, sono, dopo più di quarant'anni di impegno morale, la testimonianza della coerenza, fino all'autolesionismo, di Aurelio Bulzatti.

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