Quadri, animali, capanni. Ecco i luoghi (meravigliosi) della creatività al lavoro

Dall’appartamento straripante di oggetti di Luigi Serafini all’"ascetismo" di Enrico Rava.

Quadri, animali, capanni. Ecco i luoghi (meravigliosi) della creatività al lavoro

Già dal titolo sono due libri che portano lontano. Con la mente, con il cuore, con i sogni. Uno si intitola Casa come me, è edito da Settecolori (pagg. 256, euro 200, edizione speciale illustrata italiano/inglese) ed è curato da Carlos D'Ercole, avvocato, collezionista e scrittore nato a Madrid e trasferitosi a Milano. D'Ercole ha girato per il mondo per entrare nelle case degli artisti - scultori, pittori, musicisti - e far parlare gli inquilini di sé. Ne è uscito un libro che è a sua volta una piccola opera d'arte, con fotografie originali e un «regalino» da parte di ogni intervistato (una foto, un disegno, un pensiero, a volte inediti). Casa come me nasce del resto con una intenzione artistica: il riferimento è a Casa Malaparte che, nella Top ten mondiale delle abitazioni inarrivabili, potrebbe occupare tranquillamente il primo posto, aggrappata com'è in cima a una scogliera isolata, a Capri, selvaggia, unica, irriverente, meravigliosa. L'altro libro si intitola Una stanza tutta per sé, è edito da L'ippocampo (pagg. 192, euro 19,90), è curato dall'inglese Alex Johnson e illustrato dai disegni di James Oses. Racconta «Dove scrivono i grandi scrittori», e anche come: i loro studi o biblioteche, gli oggetti di cui si circondano, le manie, i rituali, i piani di appoggio e gli strumenti, dalla macchina per scrivere all'inchiostro o alle matite... Una stanza tutta per sé è un omaggio a Virginia Woolf e al suo breve saggio, pubblicato nel 1929, che è ancora oggi un manifesto della scrittura come professione e, specialmente, della libertà e della possibilità delle donne di essere scrittrici (cosa che, data la censura e le derive fanatiche nel mondo, non è scontata, e non solo per le donne). Se volete lasciar volare l'immaginazione, questi due libri sono perfetti. Potrete arrivare in alto, su nella Torre del Castello dove si rinchiudeva Montaigne o nella soffitta dove lavorava il dottor Samuel Johnson nella Londra di metà Settecento (non è che fosse povero in canna, semplicemente sosteneva che «chi si occupa di letteratura risiede di solito ai piani più alti», come le Muse) o planare fino alla romantica campagna gallese, sull'estuario del Tâf, nel casotto dove Dylan Thomas, che amava le «minuscole stanze», componeva le sue poesie su una scrivania di colore rosso, con accanto le sue caramelle preferite. Potrete diventare piccoli piccoli e visitare il capanno di Great Missenden, nel Buckinghamshire, dove Roald Dahl aveva ricostruito un mondo di ricordi, per tornare bambino e scrivere le sue storie, senza dimenticare la guerra (teneva modellini di aerei, come l'Hurricane e il Gloster Gladiator, col quale era finito in mezzo al deserto libico, nel 1940) e il dolore (le foto della figlia Olivia, morta a sette anni). Diceva: «Non conta tanto la stanza in sé, ma una dimensione decentrata, un luogo per sognare e perdersi, silenzioso, buio e accogliente come un grembo materno». E dimensioni decentrate, luoghi per sognare e perdersi, sono le case visitate da Carlos D'Ercole: ispirato da Juan Manuel de Prada e dalle sue interviste a personaggi della letteratura spagnola, ma memore del suggerimento di Francisco Umbral (di cui ha curato l'edizione italiana di La notte che arrivai al Café Gijón) che «è meglio non andare a trovare nessuno scrittore», ha deciso di andare in cerca di artisti. Prima tappa, la casa di Francesco Clemente a New York, che in passato era stata la casa di Bob Dylan, e che ha ispirato La caduta dei Golden di Salman Rushdie. E poi quella di Albert Watson, con vista strepitosa sull'Empire State Building, una chaise longue di Le Corbusier sul terrazzo e la Marilyn di Warhol sopra la testata del letto... O quella milanese di Mimmo Paladino, eletta fra Roma e Paduli per «una componente romantico-nostalgica», con l'omaggio a Andrej Tarkovskij nell'ingresso, una croce ortodossa in cui si intersecano la A e la T delle iniziali del regista russo, un ritratto di Scianna a Borges, una serigrafia di Roy Lichtenstein, un Cy Twombly, e alcuni dei mobili da lui stesso creati. C'è la casa/laboratorio di Miquel Barceló a Parigi, nel Marais, nata come «un'estensione dello studio» e piena di riproduzioni di tori e teste di animali: un bisonte, un ippopotamo, un cammello in mezzo a una testa Maya, un Goya, una libreria di Sottsass. C'è il rifugio musicale di Paolo Fresu a Bologna, fra libri, spartiti, dipinti, strumenti e dischi, e c'è quello «ascetico» di Enrico Rava a Chiavari: niente televisione, il frigorifero comprato per la prima volta durante la pandemia, una tromba Bach 37 del centenario, un flicorno Van Laar, e la tromba che rubarono a Louis Armstrong nel '68 («per suonarla mi sono preso una tendinite»). Si può finire anche nella casa «pazzesca» di Luigi Serafini a Roma, una tavolozza: rosso, giallo, verde, nero, bianco, scacchi, esagoni, righe, giocattoli, sculture, coleotteri giganti dipinti sulle porte... Se la casa è un Codex, anche il Codex è la casa. Per dire, Pablo Echaurren, «più duchampiano che mai», ormai colleziona pietre di selce. Anche se la moglie mostra a D'Ercole un presepe di Marinetti, donato dalle figlie del fondatore del futurismo. Ma è una sorpresa anche aprire la porta dell'appartamento madrileno di Alberto García-Alix, fotografo appassionato di moto che si è circondato di Harley, Triumph, Derby, caschi e giacche, oltre a qualsiasi libro esistente su Napoleone. Vale per tutti gli ospiti, di case e di stanze, raccontati in questi due libri, ciò che scriveva Virginia Woolf: «Gli scrittori lasciano sulle cose un segno più profondo delle persone comuni, trasformando a propria immagine e somiglianza il loro tavolo, la sedia, le tende, il tappeto». Edifici, camere, oggetti, quadri, scrittoi (Dickens si portava il suo anche in viaggio, Hemingway scriveva in piedi, fra souvenir, custodie dei fucili e un sacchetto pieno di denti di carnivori), sedie, opere esposte e/o create, bibliomanie, inchiostri perfino (Kipling, scontento di quello in boccetta, ammise: «Potendo, affiderei a un ragazzino l'incarico di macinarmi l'inchiostro di china») e panorami (Ian Fleming non riusciva a scrivere senza il «magnifico vuoto» della Giamaica della sua Goldeneye), caos (come quello dei caffè, amati da Sartre e da J.K. Rowling...

) o isolamento (come quello di Orwell sull'isola di Jura): tutto è vita, in queste pagine e immagini, la vita tormentata, splendida, affascinante, tremenda e piena di chi vive per creare, e crea per vivere. E, da sempre, ci invita a entrare nel suo mondo, per abitarvi in qualche modo, e amarlo. Ed è un viaggio che ci piace moltissimo.

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