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Corea del Sud, Parlamento destituisce il presidente Yoon
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Arturo Martini in due mostre

In ogni atmosfera elettorale, avvelenata dalle polveri sottili della maldicenza, si percepisce sempre un gran parlare per le strade e le piazze. E quanto platà, sentenziare alla Platone, di gente sconosciuta, magari anche solo con una sudata terza media o di nostri personaggi notissimi in missione all'estero, sicuri di non trovare lì per lì alcun contraddittorio sulle nostre faccende private. Alla faccia della privacy. E certo queste sono questioni che non possono sfuggire allo spirito meneghino, un distillato di saggezza popolare ben assuefatto da un esperienza più che millenaria a rilevare le tante sfumature del parlà. Dal parlà in aria, al vento, al vosà sòtta la cappa del camìn, quasi una latina vox clamans in deserto. C'è lo stizzito e risentito parlà foeura di dent, cioè schiettamente per risolvere una volta per tutte, definitivamente, una faccenda alquanto discussa.
Assolutamente diverso è invece il parlà in d'ona oreggia, confidenzialmente, magari per rivelare di avere percepito il mormorio di una diceria che corre come un sussurro, la mezza ronfa del leggero ronfare. E, se dignitoso ed aperto e el parlà de òmm, più pacato ma sempre ragionevole il parlà de cristian.
Piuttosto fastidioso ed insidioso è invece il parlà fodraa, il parlare con la ripetizione di certe sillabe e il trascinamento delle vocali finali, che appunto dà la sensazione di un parlare foderato da intenzioni sottintese, esattamente l'opposto del parlare preciso, laconico: il parlà circoncis, pacato ma che però non ammette repliche. Magari scegliendo bene una per una le parole da dire, un parlà in pont e virgola. Così come talora torna utile distrarre uno dall'intesa di certi discorsi, col semplice parlare d'altro: il parlà in la man a vun, proprio quasi portandolo via per mano.

E ditemi se questa filosofia da ringhiera non è sottile come i ragionamenti dei filosofi greci d'un tempo.
Ma soprattutto si suggeriva il prima sent e poeu parla, perché sarà bene ricordarsi che in bocca ciusa nò gh'entra mosch, tacendo si evitano fastidi indesiderati.

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