Asperti: «Avanti così e addio Pedemontana»

La Lombardia la attende da 40 anni: «Più chiarezza anche da Penati»

Attenzione, serve un forte colpo d’acceleratore per sbloccare la Pedemontana. Esagerazione? No, valutazione dell'amministratore delegato della società, Giuliano Asperti. Giudizio messo nero su bianco in una nota riservata che Asperti scrive ai soci Gian Maria Gros Pietro e Giampio Bracchi (presidenti, rispettivamente, di Autostrade per l’Italia e Milano-Serravalle) ma indirizza anche a Giulio Sapelli, presidente di Asam, e per conoscenza a Filippo Penati, presidente della Provincia.
Due paginette che, nero su bianco, offrono un quadretto, diciamo, preoccupante sul futuro dell’asse autostradale atteso da quarant’anni, che collega Dalmine a Busto Arsizio e che si completa con le due tangenziali di Como e di Varese. Situazione delicata per un progetto che si spera non sia condannato a restare solo sulla carta. E, infatti, l’ad Asperti reclama una «certezza sugli intendimenti dei soci» in una fase che «non è più procedurale ma diventa squisitamente imprenditoriale». Particolare che, «forse», annota Asperti, «sfugge o, forse, anche per giuste ragioni, si teme».
Come dire: «Senza l’adesione volitiva dei soci, Pedemontana faticherà nella sfida che ha di fronte». Un esempio? «Basta pensare» scrive l’ingegner Asperti, che è pure ad di Tem, «che la Società si appresta a definire la nuova convenzione con Anas, con gli impegni conseguenti, a darsi organizzazione e struttura e a bandire una gara di progettazione del valore di ottanta milioni di euro». Risultato: zero. Per questo, l’ad chiede ai soci di assumersi le proprie responsabilità, «mi sembrerebbe assai utile una verifica, anche ricognitiva, condivisa anche dal presidente della società». «Verifica» su quattro punti essenziali: «L’interesse dei soci a proseguire in questa iniziativa imprenditoriale ad alto rischio e resa ancor più complessa dalle nuove normative in materia», «la disponibilità dei soci a sostenere l’aumento di capitale necessario per affrontare gli impegni economici» e «la disponibilità a modificare le regole di governance a favore dell’efficienza del lavoro degli organi». E, ancora, last but not least, Asperti vorrebbe conoscere «gli orientamenti dei soci relativamente all’evoluzione degli assesti societari di loro prerogativa, ma con effetti inevitabili sulle attività della Pedemontana e dei suoi organismi».
Quattro punti niente male, che tradotti in soldoni significano un esborso di dieci milioni di euro cash per l’aumento di capitale, dopo aver definito inequivocabilmente la volontà di «proseguire in questa iniziativa imprenditoriale ad alto rischio» che, ultimi dati, ha un costo di 4.300 milioni di euro. Ma la «verifica» reclamata si traduce pure - secondo le necessità di «una società che si misura con un’opera pubblica ed un project financing tra i più complessi d’Europa» -, in un invito rivolto soprattutto alla Provincia di Milano e all’ad di Serravalle, Massimo Di Marco, di non lanciare «ipotesi di fusioni con possibilità di rinuncia al sostegno finanziario pubblico, che aggiunge solo confusione ai problemi».
Appello con tanto di appuntamento prefissato che, qualche giorno fa, è andato deserto.

Forse, qualche socio sta ancora rileggendo le altre quattro paginette «super-riservate» che accompagnano la letterina dell’ingegner Asperti. Quattro fogli per un quesito: «I soci vogliono recedere o proseguire?». Domandina che si pongono anche i lombardi.

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