Assalto alla Scala, ecco la cultura dei compagni

La protesta era annunciata, i tafferugli anche. Tutto preparato per la prima, con la stessa perizia dei protagonisti della Valchiria. Ma questo è un altro mondo che con la cultura ha ben poco da spartire. Gli striscioni, i caschi, i petardi, le bombe carta servivano per una cavalcata che di wagneriano non aveva assolutamente nulla. E purtroppo è andata in scena con le cariche della polizia, con gli scontri come non accadeva da anni. Ma la prima della Scala era un’occasione troppo ghiotta, una passerella troppo importante da lasciarsi scappare. Studenti, autonomi, centri sociali lo sapevano e si erano organizzati. Ufficialmente per protestare contro la riforma, contro i tagli al Fus, il fondo unico dello spettacolo, che forse molti di loro non sanno neppure cos’è. Ma non importa. Serviva attirare su di sé telecamere e taccuini. E così è stato con urla, fumogeni e 14 agenti feriti. Poi un breve corteo e tutti a casa, per fortuna. Per lasciare spazio a un’opera bellissima, tecnologica e ben diretta che è finita con 14 minuti di applausi ma che era cominciata con un appello del maestro Baremboin che ha letto al presidente Napolitano sul palco reale l’articolo 9 della Costituzione.

E il presidente, che ha incontrato le maestranze, è poi andato con la Moratti a ringraziarlo nel suo camerino: «Ci siamo intesi...». Ma il sindaco qualche puntino sulle «i» lo ha messo: «Sì agli investimenti sulla cultura - ha detto - no a queste proteste». No a chi con questa scusa ha riportato la città indietro di 40 anni.

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