Assassinati per la loro fede in 1.200

L’ultima vittima in ordine di tempo si chiamava Rafah Toma, una donna che abitava da sola nel quartiere di Al Wahda a Bagdad, capitale dell’Irak. I suoi assassini le sono penetrati in casa all’alba e l’hanno uccisa usando pistole munite di silenziatore. Il movente? La religione, sembra: la donna era cristiana e abitava vicino alla cattedrale siro-cattolica teatro dell’attacco terroristico di Al Qaida dello scorso 31 ottobre, costato 58 morti.
Continua così nel 2011 la striscia di sangue di fedeli cristiani versato per mano di fanatici dell’islam inaugurata con l’orribile strage di Alessandria d’Egitto (22 vittime). Seguito di un 2010 inquietante, che ha visto i cristiani perseguitati e uccisi semplicemente in quanto tali non solo in Irak e in Egitto (dove è visibile la nuova strategia del terrorismo islamico dettata dai lucidi assassini di Al Qaida), ma anche in Nigeria, in Pakistan, in India, in Turchia, in Sudan e altrove: la gelida contabilità della morte parla di circa 1200 vittime, di cui un migliaio nella sola Nigeria.
Ma dietro all’aridità delle cifre si leggono situazioni diverse. In Paesi come la Nigeria i massacri su base religiosa tra musulmani e cristiani si sovrappongono a primitive contrapposizioni tribali tra stirpi nomadi dedite alla pastorizia e popoli contadini sedentarizzati, divisi anche da interessi molto concreti. In Sudan, altro inferno di un’Africa senza pace né giustizia, un Nord islamico governato da un’elite estremista si contrappone a un Sud cristianizzato di etnia nera che punta a una forte autonomia e al controllo di ingenti risorse petrolifere: anche qui l’odio religioso diventa strumento cinicamente utilizzato per impedire sviluppi politici ed economici indesiderati. Nel Medio Oriente invece si assiste all’applicazione del cambio di rotta indicato da Al Qaida rispetto all’originaria strategia che l’11 settembre 2001 portò all’attacco al cuore degli Stati Uniti: una svolta diretta contro i cristiani, più che contro l’Occidente.
Ecco dunque la feroce campagna omicida in Irak, chiaramente mirante a spingere alla fuga all’estero i membri di una comunità in preda all’angoscia. Ecco il sanguinoso attentato di Alessandria, in un Egitto dove il numero stesso dei cristiani copti rende impossibile l’obiettivo di un loro sradicamento dalla società, ma possibilissima l’accensione di una guerra civile su base religiosa. Ecco le nuove minacce alla minuscola minoranza cristiana di Gaza (poche centinaia di persone) da parte della locale cellula qaidista: dovranno convertirsi o morire. I fanatici della “guerra santa” argomentano che i cristiani «si sono alleati con i crociati in guerra contro l’islam». Per questo non sono più degni della protezione garantita loro dalla legge coranica e possono essere uccisi se non abiureranno.
Il clima è sempre più pesante. Sul web è apparso il testo del decreto religioso islamico (“fatwa”) con cui lo sceicco mauritano Abu al-Mandhar al-Shankiti giustifica l’attentato di Alessandria: il religioso si rifà alla presunta mancata restituzione delle due donne egiziane che si sarebbero convertite all’islam e che per tale ragione sarebbero state rinchiuse in un convento. Anche qui come a Gaza: i cristiani hanno violato un accordo con noi, quindi non abbiamo più nei loro confronti alcun obbligo, salvo quello di avvisarli di ciò che stiamo per fare loro.

Altri segnali, sempre più sinistri, da altri angoli del mondo: minacce di Al Qaida alle chiese copte in Francia, una chiesa protestante incendiata nel nord della Nigeria (per fortuna senza vittime), una ortodossa data alle fiamme nell’Inguscezia (Caucaso russo). Qui un razzo è stato sparato contro il tetto dell’edificio sacro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica