Asse italo-russo per lo stop all’Iran Fini: sul nucleare fatti, non parole

Il capo della diplomazia di Mosca e il vicepremier avvertono Ahmadinejad: «Il tempo a sua disposizione sta per finire»

da Roma

«Le parole non sono più sufficienti, servono i fatti» osserva glaciale Gianfranco Fini. La questione iraniana del possibile sfruttamento del nucleare a fini militari incombe come un macigno nel lungo colloquio di ieri mattina alla Farnesina tra il nostro ministro degli Esteri ed il collega russo Serghei Lavrov. Mosca fin qui è stata piuttosto tiepida sull’idea di rimettere la cosa nelle mani del Consiglio di sicurezza dell’Onu. «Il varo di sanzioni a Teheran - aveva più d’una volta osservato nei mesi scorsi il capo della diplomazia russa - non è il miglior modo o l’unico per risolvere il problema. Adottare sanzioni vorrebbe dire mettere il carro davanti ai buoi...».
Ma allora? Come procedere tra gli stop di Mamhud Ahmadinejad ad ogni tipo di controllo e le parziali aperture concesse tra un no ed un altro? Stavolta, forse più che in precedenza, Lavrov non nasconde «la grande preoccupazione» che comincia a covare anche tra i fedelissimi di Putin. Continua a lasciare aperto uno spiraglio, parlando «della politica come unica via di uscita» per risolvere la vicenda, ma pare approfittare del suo blitz a Roma anche per inviare un preciso messaggio a Teheran: «La nostra proposta è già sul tavolo delle trattative e nuove soluzioni non possono essercene». Prendere o lasciare, insomma. Mosca, come si sa, si è detta disposta a completare il processo di arricchimento dell’uranio iraniano sul suo territorio per poi ritrasferirlo alle centrali di Teheran. Ma quest’ultima nicchia. Sfugge. Una volta pare propensa ad accettare l’ipotesi, la volta dopo lo nega.
Non sarà molto, ma almeno Lavrov ha ieri messo un limite al gioco di Ahmadinejad e dei suoi. Il 16 febbraio è in calendario un nuovo bilaterale tra Mosca e Teheran e già l’altra sera a Berlino, in un incontro col ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, Lavrov aveva concesso il proprio sì ad una intensificazione del pressing su Teheran, chiarendo che la proposta del suo paese «resta valida», così come l’auspicio che «l’Iran la accetti». Porta chiusa invece ad altre ipotesi. Non ce ne sono, almeno a Mosca. Non ce ne saranno: lo abbiano presente i governanti iraniani.
Non pare escludere, Fini, che alla fine in Iran possa prevalere la ragione e dunque non boccia l’idea che si debba proseguire la sfibrante trattativa prima di rimettere la questione nelle mani del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma avverte, il titolare della Farnesina, che il tempo a disposizione non è più molto e che la comunità internazionale tutta si aspetta che la vicenda si chiuda positivamente. Ammette infatti il vice-premier italiano che «bisogna continuare a percorrere la via diplomatica», ma tiene ad aggiungere «gli iraniani devono capire che per la comunità internazionale non bastano più le parole, ma alle parole devono seguire azioni concrete». E per questo è una via obbligata la «sorveglianza continua» per il rispetto degli impegni assunti a suo tempo dagli iraniani sulla non proliferazione nucleare. «E l’onore della prova - tiene a specificare, rimarcandolo con forza - spetta proprio a Teheran».
Ancora poco più di una settimana e, par di capire, lo show down dovrebbe aver luogo.

O Teheran accetta l’offerta di Putin recapitata loro o si va al Palazzo di vetro dove già ieri si è cominciato a sbirciare il dossier inviato a New York dalla sede viennese dell’Aiea (Agenzia internazionale energia atomica) in cui l’Iran viene accusato di cercare di ottenere armamenti atomici.

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