Nella lunga storia che unisce il mondo delle cacce tradizionali al corretto uso dello zimbello, si inserisce questa sentenza emessa dal giudice monocratico Elsa Gazzaniga del Tribunale di Voghera con la sua disamina nel procedimento penale contro A. Capitanio (difensore avv. R. Bonardi di Brescia) che lo ha assolto dal reato per l'uso dello zimbello nella caccia da appostamento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e dal reato di un presunto maltrattamento perché il fatto non sussiste.
La vicenda è stata ricostruita in aula ascoltando prima le guardie venatorie verbalizzanti che avevano solo visto le allodole svolazzare e, secondo loro, con l'imbracatura non corretta; successivamente i testi proposti dalla difesa, i quali hanno invece ribadito che le allodole utilizzate come richiamo avevano a disposizione cibo e acqua e, infine, il consulente tecnico G. Micali che si è rifatto a una dettagliata memoria illustrativa sull'uso dello zimbello. Dopo laudizione il giudice ha dichiarato che tale uso non provocava alcuna sofferenza all'animale perché, se strattonato malamente e date le modeste dimensioni, avrebbe riportato traumi evidenti, e ha esaminato il fascicolo dal punto giuridico.
«Va intanto rilevato - dice il magistrato - che l'utilizzo di richiami a scopo venatorio non è di per sé vietato dalla legge che proibisce invece espressamente l'utilizzo a fini di richiamo di uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali. Nel caso in questione alla luce di quanto riferito dai testimoni, deve escludersi che ciò sia avvenuto. L'utilizzo dell'allodola come richiamo va dunque valutato nelle sue concrete modalità di attuazione, dovendosi ritenere legittimo quando tali modalità non sottopongano l'animale a un aggravamento di sofferenze rispetto a quelle giustificate dalle esigenze della caccia, ritenute legittime dal legislatore.
«Considerate le modalità di utilizzo delle allodole come richiamo da parte dell'imputato, descritte dalle guardie venatorie nelle deposizioni riportate, non può dirsi dimostrato il ricorso a tecniche tali da causare ingiustificate sofferenze agli animali stessi, al di là della costrizione insita nell'utilizzo a scopo di richiamo, di per sé, come si è detto, lecito (non sono stati visti strattonamenti violenti, tali da causare lesioni agli animali)».
«In seguito a tutto ciò deve dunque ritenersi che la condotta dell'imputato sia priva di rilevanza penale. L'imputato deve perciò essere assolto dal reato stesso perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (capo dimputazione a). Quanto al reato contestato al capo b) relativo ai maltrattamenti, (a prescindere dalla circostanza, correttamente rilevata dalla difesa, che il fatto andrebbe ricondotto, alla luce della normativa oggi vigente, alla fattispecie delittuosa di cui all'art. 544 ter c.p.
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