A un attacco americano la Cina risponderà con le armi nucleari

Un generale cinese mette in guardia gli Usa dall’uso della forza nel caso Pechino invadesse Taiwan: ciò avverrà, secondo la Cia, «entro quattro anni»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Un conflitto locale per Taiwan potrebbe anche sfociare in una guerra nucleare. È l’opinione espressa dal generale cinese Zhu che insegna anche strategia in un ateneo militare. Zhu, nell’intervista concessa a dei giornalisti occidentali, fra cui i corrispondenti del Wall Street Journal, del Financial Times e del New York Times, ha precisato di parlare a titolo personale; e infatti il suo collega Shulong, direttore del centro di studi strategici di Pechino, ha confermato che quella ipotesi non rispecchia una scelta strategica o una «dottrina di risposta». Tuttavia un militare di carriera cinese, come del resto di ogni altro Paese del mondo, non parla mai interamente a vanvera e i casi sono due: o egli ha esposto una delle opzioni all’esame del regime di Pechino, oppure ha fabbricato deliberatamente una «indiscrezione» per mettere sull’avviso il governo di Washington.
Il discorso di Zhu, in ogni modo, ha una sua consequenzialità. Egli parte da impegni politici presi sia dalla Cina sia dagli Stati Uniti che appaiono difficilmente conciliabili. Pechino considera Taiwan una provincia cinese, ne tollera l’«autonomia» ma è pronta a reagire con la massima durezza se questa dovesse trasformarsi in una dichiarazione di indipendenza. Washington ha da decenni preso l’impegno di difendere Taiwan dai tentativi di annessione della Cina. Finora la schermaglia è politico-diplomatica, anche se a tratti con duri accenti polemici. L’altro giorno, ad esempio, uno studio della Cia si è concluso con la previsione che i cinesi «invaderanno Taiwan fra quattro anni», ciò subito dopo le Olimpiadi a Pechino.
Americani e cinesi si sono sforzati finora di prendere tutte le precauzioni affinché un conflitto locale non si espanda in una guerra generalizzata fra due grandi potenze. Zhu parte dall’ipotesi più allarmante: che gli Stati Uniti siano decisi a «interferire in una sistemazione del problema di Taiwan. «In questo caso - avverte - noi dovremo e sapremo rispondere». Ma la Cina è molto più debole degli Stati Uniti e dunque «non saremmo in grado di condurre con successo una guerra convenzionale. La logica bellica detta che la potenza più debole ricorra alle sue armi più potenti per far fronte al rivale più forte. Nel nostro caso questa è l’arma nucleare. Se gli americani colpiranno, come è concepibile facciano, le basi di un’operazione militare cinese riguardante Taiwan, cioè la Costa sudorientale della Cina, con bombardieri strategici e «missili intelligenti» del tipo usato contro l’Irak, solo una escalation atomica potrà riportare i contendenti su un piano di parità: la Cina è anche in questo campo nettamente inferiore agli Stati Uniti, ma dispone di ordigni atomici sufficienti per infliggere enormi danni a quello che Zhu ipotizza come «aggressore».
E il generale avverte che nel caso che la escalation nucleare raggiunga i suoi massimi, «siamo pronti a pagare la conseguenza della distruzione di centinaia di città cinesi, anche di tutto il nostro Paese a est di Xian». È la logica antica della Guerra Fredda e dell’«equilibrio del terrore» che resse per decenni i rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Non è la prima volta che Pechino fa sapere di essere pronta a riattivarla.

Già dieci anni fa Xiong Guangkai disse che «gli americani dovrebbero preoccuparsi di più di Los Angeles che di Taipei». Xiong ha fatto carriera. Oggi è il numero due dello Stato Maggiore dell’Esercito Popolare di Liberazione.

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