Attenti, ci stiamo perdendo i tesori (d'arte) delle banche

Crisi, cattive gestioni e indifferenza della politica mettono a rischio un grande patrimonio del Paese

Attenti, ci stiamo perdendo i tesori (d'arte) delle banche

Il cinquecentesco Palazzo Mancini Salviati, sede del Banco di Sicilia in via del Corso, venduto a Kryalos Sgr; Palazzo Bnl in via Veneto venduto per frazionarlo in stanze e bagni d'hotel; il papale Palazzo Altieri sede dell'Associazione Bancaria in Piazza del Gesù in vendita con i palazzi de Carolis di UniCredit e Rondinini del Monte Paschi, entrambi in via del Corso, con tutte le loro collezioni. Siamo a Roma. E tutto ciò indica una sconfitta e un percorso negativo rispetto al fulgido e trionfante esempio della Fondazione Roma, sotto la presidenza di Emmanuele Emanuele, che ha collegato e valorizzato Palazzo Sciarra e Palazzo Cipolla, dotandoli nel tempo di straordinari spazi espositivi e grandi collezioni d'arte, compreso il medagliere di medaglie papali, secondo solo a quello della Biblioteca Apostolica vaticana, fino alla costituzione del «Museo del Corso», a Roma, con un nucleo unico di opere di grandi artisti romani, da Antoniazzo a Scipione Pulzone, ad Antonio Cavallucci, integrando le collezioni pubbliche di Palazzo Barberini.

La disgregazione, annunciata con le vendite UniCredit, fuori di ogni regola e di ogni tutela, nella indifferenza del ministero che quei palazzi fronteggia e ignora, senza predisporre garanzie per le loro collezioni, e per la loro integrità avviene a Roma, come nelle altre città italiane, in un percorso di dissoluzione inarrestabile. Il Monte Paschi ha già venduto 37 palazzi in varie località. Emmanuele Emanuele appare un gigante davanti a un mondo di inadeguati dirigenti e funzionari (di orientamento e disorientamento politico) che attribuiscono valore, in una prospettiva fallimentare, solo al danaro raccolto dalle dismissioni. In una visione meschinamente finanziaria e aliena dai valori culturali e civili. Contro le città. Contro la centralità dell'Italia e dei suoi monumenti storici nell'Unione europea.

Una disgregazione epocale. È in atto la dispersione dell'entità privata più cospicua d'Italia costituita da mille palazzi storici e trecentomila opere. Le banche iniziano a dismettere il patrimonio immobiliare e mobiliare costituito nei secoli, a partire dal '400, dai banchieri mecenati. Cessioni di palazzi e di collezioni sono in parte conseguenza della crisi finanziaria, degli impegni assunti dalle banche, tra i piani di ristrutturazione, nei confronti della Commissione Europea e della insensata privatizzazione, con una maggiore attenzione ai dividendi degli azionisti, soprattutto per gli aggravi fiscali introdotti dagli ultimi governi.

Sono in vendita centinaia di palazzi delle banche che, dal primo Rinascimento fino a oggi, hanno espresso il forte carattere e il tesoro culturale e storico del Paese. A rischio un patrimonio accumulato dall'epoca del banchiere Lorenzo il Magnifico che contribuisce a rendere unico e distintivo il carattere artistico e culturale dei singoli territori italiani e della loro identità, bene comune che sarebbe da tutelare.

Il disastro nasce dal barbaro governo Monti, tra il 2012 e 2013, che ha introdotto la tassazione degli edifici dichiarati di rilevante interesse culturale. Ha negato il sostegno, precedentemente riconosciuto, con agevolazioni fiscali, per la conservazione dei beni culturali, a fronte di una notevole incidenza delle spese necessarie per gli interventi di manutenzione e restauro e di limiti d'utilizzo nell'interesse collettivo. È stato delegittimato il ruolo di conservatori dei privati, delegittimato un ruolo d'impegno sociale e culturale di chi aveva inteso mantenere queste strutture costose anche in periodi di crisi finanziaria e che, peraltro, non deve rispondere alle nuove meschine esigenze funzionali prospettate da insipienti. Le banche e gli altri privati hanno saputo subordinare l'interesse soggettivo, le economie, la funzionalità, rivestendo un ruolo sociale di grande impegno che dovrebbe essere vieppiù riconosciuto e sostenuto. Perché lo Stato non è ciò che è di proprietà dello Stato, nelle sue articolazioni, Regioni, Provincie, Comuni, come patrimonio materiale, ma una idea più alta, in una dimensione immateriale: lo Stato, nella sua essenza, è la coscienza del Bene. Chi potrebbe dubitare di questa visione, davanti all'attività estrema, tra le soffocate Fondazioni (penso a quella della mia città, Ferrara), di Banca Intesa, nella meritevole apertura alle città e con le attività di palazzo Zevallos a Napoli, di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza, delle Gallerie d'Italia, sotto la guida giudiziosa di Michele Coppola?

Il barbaro governo Monti ha livellato tutte le realtà italiane anche se totalmente diverse tra loro. A Palermo, per esempio, dove i costi di ristrutturazione sono superiori al basso valore finale dei palazzi, l'introduzione di aggravi fiscali ha avuto l'effetto di stop ai pochi tentativi faticosi di recupero, provocando l'abbandono totale. Oggi la città conta 1500 palazzi nel centro storico, il più grande d'Europa, che si sta sgretolando irrimediabilmente, e si cancellano pagine di storia di arte e cultura invece di risarcire pazientemente il tessuto urbano, con buoni esempi di interventismo come Palazzo Sant'Elia. Una falcidia indifferenziata che si avvia a distruggere quella che è stata in passato una capitale europea. E non si registrano reazioni della amministrazione regionale, mentre i governi nazionali successivi a quello di Monti si sono dimostrati indifferenti a questa programmata distruzione.

L'attuale governo sembra non accorgersi di questo sgretolamento, e resta fuori dal merito e dal dialogo per cercare soluzioni opportune a mantenere questa primaria identità del Paese. È coerente nel disconoscere il ruolo privato e delle banche consentendo agli attuali azionisti di scompaginare secoli di storia. L'indifferenza per la nuova sorte di palazzi monumentali che saranno spinti verso un mercato commerciale, con frazionamenti e sfruttamenti intensivi che cancelleranno l'identità spaziale unitaria originaria, conservata per secoli e restituita al pubblico godimento, è l'unica risposta percepita, fra impercettibili sussurri. Imprese, sostenute da Banche, come il Fai, sembrano oggi impensabili. Noti moralisti pronti a rinnegare e a insultare Giulia Maria Crespi per la cessione di un suo dipinto di Alberto Burri (risibile polemica) oggi tacciono, insensibili a una sistematica azione di svendita, «svincolo» e alienazione. L'integrità delle collezioni non è più un valore. In passato e con un modello invidiabile, l'Abi (Associazione bancaria italiana), con l'iniziativa «Invito a Palazzo» dal 2002 aveva reso visitabili gratuitamente più di cento palazzi ogni anno con le relative collezioni. Ha voluto condividere e rendere disponibile l'antologia mirabile di stili architettonici e di testimonianze artistiche di ogni epoca, dall'architettura rinascimentale alle vertiginose forme del barocco fino ai contemporanei, in coerenza con l'Anno europeo del patrimonio culturale come «fonte condivisa di memoria, comprensione, identità, dialogo, coesione e creatività». Le banche fino ad oggi si erano distinte, riconosciute ed identificate, nella mente dei cittadini, come luoghi di cultura, contribuendo alla valorizzazione del patrimonio e rendendolo accessibile a tutti.

Dovrebbe essere interesse generale la convergenza d'interessi pubblici e privati, la cui interazione è essenziale e la cui armonizzazione è necessaria per ottenere una riabilitazione urbana che è il più alto obiettivo.

I palazzi e le collezioni dei privati e delle Banche, con l'attenzione viva e partecipe dello Stato, potrebbero divenire occasione unica e decisiva per il futuro delle nostre città, sia per la conoscenza della storia, sia per la conservazione della identità culturale. Il governo italiano e il ministro per i Beni culturali, nella sua azione di tutela del patrimonio e della memoria, non possono rimanere indifferenti di fronte alla minaccia di un tale sconvolgimento.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica