L'AI e il debito cognitivo delle nuove generazioni

L’83% di chi usa ChatGPT non è capace di ricordare nemmeno una frase del proprio testo subito dopo averlo scritto. Ecco i risultati di uno studio sperimentale

L'AI e il debito cognitivo delle nuove generazioni
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Ho letto uno studio sperimentale appena pubblicato (non ancora peer-reviewed, comunque del MIT, quindi autorevole) condotto da Natalia Kosmyna del Media Lab insieme a un gruppo di neuroscienziati, informatici e studiosi del linguaggio. Il titolo è già un programma: Your brain on ChatGPT: Accumulating cognitive debt when using AI assistants for writing tasks, ovvero “Il tuo cervello con ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo usando un assistente AI per compiti di scrittura”.

Il protocollo è semplice. Tre gruppi di persone: il primo scrive testi brevi usando solo il proprio cervello (sì, succede ancora), il secondo può usare Google, il terzo ChatGPT (nella versione GPT- 4o). Intanto li collegano a un EEG per misurare l’attività cerebrale. Fico no? Risultati? Quelli che mi sarei aspettato. I partecipanti del gruppo “solo cervello” hanno mostrato una connettività celebrale normale, quelli con Google una riduzione del 34–48%, e quelli con ChatGPT una riduzione del 55%. Il cervello, in pratica, comincia a spegnersi appena delega.

Come quando premi “Autotune” e il cantante smette di saper cantare: appena si blocca il filtro, resta lì col microfono e la dignità in tasca (e pensare che il mio amato Freddie Mercury già si innervosì quando i Queen vennero a Sanremo e dovette cantare in playback). In ogni caso il bello arriva dopo: i testi scritti con l’AI sono tutti simili tra loro, mentre quelli scritti senza aiuti sono diversi, più articolati, più vivi, più imprevedibili e, sorpresa delle sorprese, l’83% di chi ha usato ChatGPT non è stato capace di ricordare nemmeno una frase del proprio testo subito dopo averlo scritto. La coscienza (e la memoria) dell’atto creativo è evaporata (per forza, a malapena avranno ricordato il prompt) e hanno balbettato frasi tipo “non lo so, l’ha scritto ChatGPT, mica io”.

Al contrario, quelli che hanno scritto da soli ricordavano benissimo ciò che avevano scritto. Nella seconda parte dell’esperimento, i gruppi sono stati invertiti. Risultato? Quelli che si erano abituati a ChatGPT non riuscivano più a scrivere decentemente senza, non ricordavano nulla di quanto avevano fatto prima e mostravano una connettività cerebrale ancora più debole. Insomma, un classico esempio di debito cognitivo. I ricercatori concludono che l’uso inconsapevole dell’AI porta a interiorizzare contenuti superficiali o distorti. Anche perché ChatGPT la stanno usando tutti senza sapere come usarla: si prende per buona qualunque scemenza ben confezionata e questo, se ci pensate, è perfettamente in linea con la nostra epoca. Beninteso: non è mai il mezzo, è chi lo usa.

Come agli albori di internet: si diventava più interconnessi, presto abbiamo avuto accesso a tutte le informazioni del mondo, e presto anche a tutte le bufale del mondo.

Il problema era diventato quello di insegnare a riconoscere le fonti di ciò che si leggeva, ora siamo a uno step successivo: legge ChatGPT (che non è fatta per controllare l’autorevolezza delle fonti), scrive l’AI (anche bene, spesso però cose sbagliate), e la gente non si ricorda né cosa ha letto né cosa ha scritto. Prevedo un futuro radioso per l’attività cerebrale degli esseri umani, ammesso che qualcuno riuscirà a vederla.

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