
3 1°17'19Nord - 34°15'07 Est sono le coordinate del «miglio verde». Non è il titolo di un famoso film, ma il nome di un tragitto pericoloso, sotto le bombe, che sembra interminabile, frequentato dagli agenti della nostra intelligence negli ultimi due anni. Le coordinate indicano il valico di Rafah e il «miglio verde» è la terra di nessuno che separa il lato egiziano da quello palestinese. «Dove sono le armi a dettare legge, lì arrivano gli 007» è una specie di motto degli operativi dell'Aise, l'Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna. L'operazione è iniziata «nell'ottobre 2023, quando alcuni connazionali intrappolati nella Striscia di Gaza - tra le bombe israeliane e le violenze sul terreno di bande armate e gruppi di estremisti - si sono visti consegnare da una mano invisibile cibo, acqua e medicine» racconta una fonte riservata. «È dal miglio verde che sono passati gli agenti - aggiunge - e quando successivamente, primi fra tutti nella comunità occidentale, grazie ad uno stratagemma che non si può rivelare, i connazionali sono stati esfiltrati».
I 100 anni dell'intelligence italiana non è solo una storia di spie, ma una lunga avventura al servizio della Patria in difesa della sicurezza nazionale. Per non parlare del sacrificio, in molti casi estremo, con 18 medaglie d'oro al valor militare fin dalla prima guerra mondiale e 7 caduti in tempo di pace dal 1976 alle missioni all'estero degli ultimi anni. Nell'inferno di Gaza gli agenti sul campo sono stati impiegati pure per evacuare i bambini palestinesi bisognosi di cure, come «la piccola Fatma. Oggi sta bene e, insieme ai genitori, ancora chiede di quell'italiano senza nome - racconta la fonte - che li ha attesi per ore, per poi trasportarli in un'ambulanza della Mezzaluna Rossa lungo quell'ultimo miglio verde».
Lo scorso secolo Giacomo Camillo De Carlo è diventato la «spia volante» a bordo degli aeroplani di allora. E poi si è guadagnato la medaglia d'oro sul fronte del Piave: «Dietro le linee nemiche, sempre ricercato dagli austriaci, organizzò un efficacissimo servizio di trasmissione di informazioni segrete. Celebri i suoi colombigrammi, messaggi inviati mediante piccioni viaggiatori». Francesco De Martini è stato un Lawrence d'Arabia italiano, infiltrato nella corte del Negus in Etiopia, sabotatore durante la seconda guerra mondiale, prima catturato dagli inglesi, poi fuggito, di nuovo operativo e fatto prigioniero per la seconda volta. La medaglia d'oro Edgardo Sogno era «l'anello di congiunzione per il Sim (il Servizio informazioni militare, ndr) tra l'intelligence inglese e le formazioni partigiane».
I fratelli Li Gobbi, Costanzo Ebat, Guido Rampini sono altri agenti che dopo il 1943 hanno aderito alla resistenza e sono stati imprigionati, torturati o fucilati dai nazifascisti. La medaglia d'oro Paola Del Din, prima donna paracadutista, partigiana, lanciata dietro le linee, ricorda che «il Sim veniva molto considerato dagli inglesi. L'intelligence rimarrà sempre fondamentale. Lo era fin dai tempi dei romani e sarà ancora così per i prossimi 100 anni e oltre». Il Sim, istituito il 15 ottobre del 1925 e sciolto nel 1945, ha lasciato il posto al Sifar, il Sid, il Sismi per arrivare fino ad oggi all'Aise. Dopo il 45 la guerra fredda diventa il nuovo campo di battaglia. Uno dei leggendari direttori dell'intelligence, dal 1984 al 1991, è l'ammiraglio Fulvio Martini, nato a Trieste, con sangue dalmata nelle vene. Nome in codice Ulisse è lui, come ricorda un generale in congedo dei servizi, che ha definito «la humint, l'intelligence degli agenti sul campo il secondo mestiere più antico del mondo». La lunga sfida di Ulisse al Kgb, il servizio segreto sovietico, inizia nel 1958 con un colpo di fortuna, quando fotografa a Istanbul le navi di Mosca in transito. La Cia, grazie a questi scatti in bianco e nero, scopre che i sovietici inviavano missili a Cuba. «Che tempi: quando operavo nei Balcani mi era venuto in mente di progettare un sistema semplice di comunicazione, una specie di apparecchio mobile. Adesso tutti lo utilizzano: è il telefonino» mi spiegò Martini nella sua casa di Roma. Ulisse viene condannato a morte da uno dal più sanguinoso gruppo palestinese. «Il 19 dicembre 1985 inviai una segnalazione al ministero dell'Interno e sul circuito internazionale, che si attendeva un attentato di Abu Nidal fra il 25 e il 31 a Fiumicino - ha raccontato - Il 27 dicembre i terroristi spararono all'impazzata nella hall dell'aeroporto. Gli israeliani avevano inviato i loro tiratori scelti che risposero al fuoco. Da quel giorno sono diventato il bersaglio numero uno di Abu Nidal».
A Forte Braschi, la storica sede dei servizi segreti a Roma, è stato inaugurato, il 12 settembre, un sacrario dei caduti dell'intelligence. Due lastre di pietra sempre illuminate: da una parte è incisa la frase «In memoria di coloro che hanno offerto la vita per la patria». Dall'altra 17 stelle, che ricordano altrettanti caduti.
Dopo il crollo del muro di Berlino l'Italia è in prima linea nella missioni internazionali. Vincenzo Li Causi, veterano dell'intelligence «inviato in Somalia, in supporto al contingente italiano muore il 12 novembre 1993, vittima di un agguato». Medaglia d'oro come Nicola Calipari, che dalla Polizia entra nel Sismi. In Iraq dirige l'operazione per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, sequestrata da un gruppo di insorti. Il 4 marzo 2005, sulla strada verso all'aeroporto, gli americani di un posto di blocco sparano sulla macchina. Calipari, per salvare l'ostaggio, fa scudo con il suo corpo. A Lorenzo Lauria mancano quattro giorni per compiere 33 anni e ha tre figli piccoli a casa. Agente in Afghanistan viene ferito a morte, il 22 settembre 2007, durante il blitz dei corpi speciali inglesi per liberarlo dagli otto sequestratori talebani. Gli afghani lo chiamavano Lorenzo Jan, un appellativo che nella loro lingua e costume significa amico. Si era fatto crescere la barba in stile islamico per mimetizzarsi meglio e girava sempre in borghese indossando anche la tunica ed i pantaloni a sbuffo del posto. Tre anni dopo, a Kabul, cade l'agente dell'Aise Pietro Colazzo durante «un attacco dei talebani, con attentatori suicidi, che semina il terrore per quattro ore consecutive nella capitale provocando 18 morti e oltre 30 feriti».
Le ultime «stelle» sul monumento ai caduti ricordano Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi, due agenti che il 28 maggio 2023 perdono la vita nel lago Maggiore durante un naufragio, dettato dal cattivo tempo, ma «nel corso dello svolgimento di una delicata attività operativa con Servizi collegati esteri».
In Iraq, Libia, Afghanistan e adesso a Gaza la nostra intelligence ha mobilitato uno scudo invisibile sul campo di agenti che, in silenzio, rischiano la pelle ogni giorno. In Afghanistan a bordo di fuoristrada con targhe civili entravano ed uscivano dalle basi di giorno e di notte. Nelle zone ostiche, come Farah, le nostre «barbe finte» si facevano accompagnare dal figlio di un trafficante di oppio, come «assicurazione sulla vita». Un veterano ricorda «che una delle figure più ricercate era il medico. Gli afghani arrivavano a chiedere aiuto dai villaggi più sperduti. Allora mandavi un sanitario e poi lasciavi al capo villaggio una sacca di medicine. Ed i nostri convogli passavano senza danni».
La medaglia d'oro Del Din è convinta che «nessuna intelligenza artificiale potrà mia sostituire gli agenti sul campo».
Il compito degli operativi, le «antenne», è raccogliere qualsiasi segnale di pericolo, per poi diramare l'allarme ai reparti impegnati nella missione. Come l'utilizzo di manichini con il burqa all'interno di una macchina minata, per far pensare che il terrorista suicida al volante faccia parte di un'allegra famigliola afghana.