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L'identità non è una colpa

Il Natale arriva ogni anno come un ospite scomodo. Non perché disturbi, ma perché ricorda. Ricorda che l'Occidente non è nato ieri

L'identità non è una colpa
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La mia capanna del presepe vede strani personaggi prendere spazio laddove la tradizione vorrebbe Maria e Gesù: un paio di pastori sono russi, un paio di zampognari sono trans e quel che resta dell'invenzione di san Francesco è risucchiata dalla polemica e dagli insulti. Il Natale arriva ogni anno come un ospite scomodo. Non perché disturbi, ma perché ricorda. Ricorda che l'Occidente non è nato ieri. In questi giorni sentiamo parlare di islam solo come problema o solo come tabù. E ci domandiamo perché. Perché noi lo crediamo compatibile con il nostro quotidiano. E non immaginiamo che invece l'Italia, l'Europa e l'Occidente siano di fronte a una scelta. Ma poi guardando a sinistra sappiamo che la scelta è già stata fatta. E se dal Pd ai Cinquestelle, di fronte all'avanzata del radicalismo che propone la sharia come il sostituto dei nostri codici, arriva solo il silenzio, significa che l'islamizzazione, soprattutto a Natale, ha vinto come progetto politico. Ma il Natale, al contrario, afferma che l'identità non è una colpa. Dice che l'accoglienza non è l'abolizione di sé, ma l'incontro tra due storie che sanno chi sono. È qui la contraddizione: mentre una parte del dibattito sull'islam pretende di imporre silenzio in nome del rispetto, e una parte della sinistra scambia il relativismo per pace sociale, il Natale afferma il contrario. Senza radici non c'è dialogo, senza limiti non c'è libertà, senza casa non c'è ospitalità.

Il presepe è politico più di mille convegni: un bambino, una madre, un padre, una stalla. Nessuna ideologia, nessuna censura, nessuna scusa. Solo l'idea scandalosa che la nostra civiltà nasce da lì. E che negarlo, per compiacere qualcuno o per paura di essere giudicati, non è progresso. È smarrimento.

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