Donne straordinarie

Michèle Mouton, la rallysta che metteva nello specchietto i maschi

Una leggenda dei motori che dovette superare i pregiudizi di chi riteneva le macchine appannaggio dei soli uomini: lei è Michèle Mouton

Michèle Mouton, la rallysta che metteva nello specchietto i maschi
Tabella dei contenuti

La Costa Azzurra si distende placida. Spiagge arpeggiate da un vento tiepido, negozi lussuosi, strade scintillanti. La piccola Grasse poi, ne è rappresentazione fulgida: contempla il mare dalla collinetta su cui se ne sta appollaiata. Il tenore di vita è assicurato dall’industria della profumeria: Fragonard, Galimard e Molinard sospingono una comunità di cinquantamila anime. E i motori ruggiscono. A partire da quello nella testa di Michèle Mouton.

Mouton, il primo flirt con i motori

Nel 1965 Michèle ha soltanto quattordici anni. Abbastanza comunque per trascorrere la maggior parte del tempo insieme al papà, a bordo di quella seducente Citroen 2CV, a spasso per la riviera. Abbastanza soprattutto per provare a mettersi al volante nei tratti più sgombri, sempre sotto gli occhi vigili del genitore. Mouton però spinge per fare i percorsi più intricati. Un brivido caldo le corre lungo le scapole ogni volta che sgasa in curva. Il papà è accigliato, ma inizia a intuirne il talento. Quando nota che spinge troppo, la invita ad accostare e scendere.

L’inizio di tutto: la chance come navigatrice

Sette anni dopo, cosciente delle sue doti, l’amico Jean Taibi fa trillare il suo telefono: “Senti, c’è il tour de Corse. Ti va di farmi da navigatrice?”. Lei non ha nemmeno bisogno di riflettere. Il rally è già un pensiero che affolla le sue giornate. Accetta, mollando gli studi in giurisprudenza per dedicarsi ai motori con ogni fibra del suo corpo. Papà continua a storcere il naso, ma deve arrendersi all’evidenza del talento. Al punto che, nel 1973, è lui a indicarle la strada: “Devi passare sull’altro sedile, quello del guidatore. Ti compro io la macchina, ma hai un anno – il patto – per dimostrare quanto vali”.

A bordo di un’Alpine A110 per infrangere i pregiudizi

Il debutto come pilota è dietro l’angolo. Tour de Corse 1974. La macchina è una ruggente Alpine A110. Il circo tutt’intorno la scruta con sdegno. Lei fa spallucce e sgasa. Arriva dodicesima, ma prima tra le donne. A fine anno sarà campione femminile francese ed europea. Lei però vuole insidiare il feudo dei maschi. Incrinare i pregiudizi che relegherebbero le donne a mere spettatrici. Decide di cimentarsi anche con i circuiti.

A Le Mans, un anno più tardi, corre con un equipaggio tutto al femminile facendo dannare il team: “Pioveva a dirotto – ricorderà in seguito – ma io stavo passando tutti perché avevo montato le gomme giuste. Mi imploravano di fermarmi, ma non volevo”. Una risposta che racchiude l’universo interiore di Michèle.

Tra Fiat e Porsche: ora i maschi tremano

Le formidabili doti della Mouton, miste alla sua pervicacia, la rendono una pilota sempre più appetibile. Nel 1977 la ingaggia la Fiat, ma non andrà come l’avevano immaginata. Non scocca la scintilla tra Michèle e la 131 Abarth, da lei definita come “Un grande camion, più che una macchina”. Va decisamente meglio con la Porsche Carrera 911: corre il Rally di Spagna e si piazza seconda, alle spalle di Bernard Darniche. Adesso la folta rappresentativa maschile è quantomeno perplessa. Come si permette, questa, di lasciarci tutti nello specchietto? L’umiliazione impartita è lacerante. Il meglio però deve ancora venire.

Audi, il matrimonio perfetto

In sella alla Fiat la Mouton continua a macinare successi. Vince il tour de France Automobile e arriva seconda nel campionato francese. Dentro di sé sa, tuttavia, di essere destinata a un destino ancora più luccicante. Quando, sul finire del 1980, riceve la chiamata dell’Audi stenta a crederci. È la vettura perfetta per raggiungere in fretta i sogni più voluminosi. Dopo una partenza al ralenti, ingrana senza compromessi. Accanto a lei siede la co-pilota italiana Fabrizia Pons: sarà un sodalizio formidabile. Corre il Tour de Corse, il rally dell’Acropoli e quello di Finlandia. Non va benissimo, ma è l’allenamento per una serie di imminenti trionfi.

Michele Mouton

1982, un anno incantevole

Ci sono corse che esprimono, forse più di altre, la straordinaria parabola ascendente della Mouton. A Sanremo, nel 1981, il finlandese Ari Vatanen dichiara: “Non potrò e non vorrò mai perdere contro una donna”. È un’esternazione intrisa di panico. In quel momento, nel weekend prima dell’ultima gara, Michèle ha 32 secondi di vantaggio su di lui. Vatanen centra una roccia nella prova decisiva. Titolo alla Mouton. Colleghi maschi trasecolati.

Vince quindi al rally del Portogallo, all’Acropoli e in Brasile. Il 1982 è un anno incantato. Si presenta così al rally della Costa d’Avorio ancora in lizza per il titolo mondiale. Poco prima della partenza però, il papà viene a mancare. Il suo ultimo desiderio è che la figlia corra. Lei si mette al volante con gli occhi acquosi. Ripensa ai pomeriggi divertenti su quella Citroen, nella riviera francese. Lotta ferocemente, terminando seconda. Il titolo sfuma per un soffio.

Pikes Peak: sfrecciare in un mondo di uomini

Una montagna brulla e inospitale, che si erge per oltre 4mila metri sopra Colorado Springs. Cento chilometri di curve strette su sterrato. Zero guard rail. Se vai giù grazie, è stato bello. Questa è Pikes Peak. Ai piedi del letale gigante c’è un tizio con l’aria e i modi da smargiasso: si chiama Bobby Unser e si sente il padrone della festa. Sostiene che quella sia una sfida per uomini veri. La sola idea che una donna si presenti gli procura risate compulsive.

Quando però scorge la tabella con i tempi di prova della Mouton il sorriso svanisce. Farla vincere qua, in questo giacimento di testosterone, sarebbe abominevole. Tentano di penalizzarla. Si inventano, gli organizzatori, che è andata troppo rapida in un tratto. Una trovata ridicola. Prima dicono che deve partire salendo in macchina dall’esterno e mettendo in moto. Poi l’Audi protesta vigorosamente, minacciando di fare un casino sui giornali. Parte comunque in folle. La cosa la inviperisce. Vince segnando il record assoluto della pista.

Titoli di coda: Peugeot e abolizione delle Gruppo B

Nel 1986 la carriera di Michèle si avvicina rapidamente all’epilogo. Chiude l’intensa storia con Audi e passa alla Peugeot. La morte di Henri Toivonen in Corsica, dove la Mouton era terza prima di registrare problemi al cambio, segna però l’abolizione delle vetture del Gruppo B. La pilota, sotto choc per la perdita del collega, rivela al suo compagno: “Adesso la mia carriera è finita”. A trentacinque anni decide di estrarre le chiavi dal cruscotto, per iniziare a convivere con un’altra versione di sé. Le quattro vittorie complessive nel circuito, unite ai titoli lambiti, ne fanno ancora oggi l’unica vera regina dei motori.

Una donna che ha saputo sverniciare i pregiudizi, in un mondo che ne era drammaticamente intriso.

Commenti