
Ci sono situazioni sfidanti, che di colpo mostrano l'altra faccia della medaglia e diventano sfibranti. Nei miei incontri da prete, degno di memoria è quello con un tale che mi confida alcune problematiche che lo incupiscono. Avverto un abbondante senso di frustrazione e di pessimismo. Il tema della mia risposta è la speranza. In pieno stile da confessionale - con le porte aperte per sperare, appunto, di percepire un filo d'aria nel caldo torrido delle strette pareti lignee - infiocchetto il tema e ci metto in conclusione un bel riferimento al Giubileo di quest'anno che ha proprio come titolo pellegrini di speranza. Ho la stessa soddisfazione che si ha quando si conclude una torta con una bella spruzzata finale di panna montata decorativa e arzigogolata in gustosi riccioli. Alla mia riflessione fa eco la sua risposta che però mi smonta e fa afflosciare tutto: «Bo mah chissà speriamo». È incredibile come uno «speriamo» può inquinare la speranza. Mi ricorda un'immagine che ho visto in un post su un social. Era fotografato un foglio di quaderno al centro del quale, con un pennarello a punta larga era stato scritto in grande e in stampatello maiuscolo: «BASTA CREDERCI». In basso, sull'ultima riga della pagina, con carattere più piccolo e in corsivo c'era una frase che aveva la potenza di destabilizzare e di interpellare: «Ora sta a te decidere come leggere la frase». Infatti incredibilmente «basta crederci» può significare «è ora di smettere di abboccare, è ora di finirla: basta crederci!», ma può
anche avere il senso di «è il momento di iniziare a fidarsi, è l'aprirsi di una nuova opportunità: basta crederci». Il tono scelto cambia tutto. Quante volte, anche nel parlare comune, noi usiamo intercalare l'espressione «speriamo!». Non si pensa ma a quanti significati diversi abbia e quante diverse sfumature possa assumere. Mi sono allora chiesto: cos'è la speranza? La speranza non è «la viltà dei deboli», di quelli che per impotenza e debolezza, delegano all'incertezza, bofonchiano pessimisti con fare rassegnato e pavido: «booo, speriamo». La speranza non è «l'alibi dei pigri» che non fanno nulla e attendendo che altri si impegnino, mentre intanto sbadigliano un «chissà, speriamo». La speranza non è «l'uscita di sicurezza dei rassegnati» che alzano le spalle, scuotono la testa e dal guscio della loro mediocrità cupa, fanno trapelare uno sforzato «mah, speriamo». Secondo me la speranza è «la virtù dei forti». Sono coloro che sanno trovare nel negativo il senso del positivo. È nella fame che si percepisce la preziosità di un boccone. Allora decisi si motivano: «dai! speriamo!». Per spiegarmi, mi aiuta un personaggio storico: Václav Havel (1936-2011). È stato scrittore e attivista contro la dittatura comunista in Cecoslovacchia, promuovendo diritti umani, libertà e democrazia. Nel 1989 fu uno dei leader della Rivoluzione di Velluto, movimento non violento che portò alla caduta del regime. Divenne primo presidente della Repubblica di Cecoslovacchia (1989-1992) e poi della neocostituita Repubblica Ceca (1992-2003)
al momento della separazione con la Slovacchia. Nel periodo del suo impegno politico rivoluzionario fu chiuso in carcere. In quella situazione di oppressione e di repressione scrive una bellissima riflessione sulla speranza. «La speranza è una dimensione dell'anima e non dipende da calcoli sulla situazione. La speranza non è una previsione, ma un orientamento dello spirito e del cuore. La speranza non è la convinzione che una cosa finisca bene, ma la certezza che abbia un senso al di là da come va a finire. La speranza è la capacità di impegnarci in qualcosa perché è giusto e non solo perché è sicuro che avrà successo. La speranza non è ottimismo. Più avversa è la situazione in cui dimostriamo speranza, più profonda è questa speranza. La speranza ci dà la forza di vivere e di continuare a tentare, anche in condizioni disperate come quelle che ci circondano».
Václav Havel da prigioniero e da perseguitato ha vissuto la fame vera per l'oppressione del regime, ma è stato un uomo che ha avuto soprattutto fame di senso e di pace, tanto da dimostrare quella virtù dei forti che è la possibilità per ognuno di essere un boccone di speranza. A noi la scelta di decidere se dire «mah speriamo» o «dai! Speriamo!».