Italia al neon

"Non mi sembrano un granché...". Quel primo incontro tra Battisti e Mogol

A metà degli anni Sessanta una cacciatrice di talenti francese li porta Lucio a casa del paroliere, ma la scintilla tra i due non decolla affatto all'istante

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"Non mi sembrano un granché": il primo incontro tra Battisti e Mogol

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L'appartamento è infilato dentro a una palazzina signorile, nel cuore di Milano. Lei lo sta aspettando sulla soglia, fasciata da un impermeabile beige, i capelli raccolti in un foulard, un paio d'occhiali da sole calati su quel naso francese. Lui la scorge da lontano e affretta il passo. Ha l'energia tracimante dei vent'anni a sospingerlo. Prima di entrare si rimescola quel groviglio di capelli. Poi Christine Leroux e Lucio Battisti entrano in casa di Giulio Rapetti, cioè Mogol.

Lui li fa accomodare spostando ceste di vinili dal divano: è la prima volta che vede quell'acerbo musicista. Lei invece la conosce da tempo: un'amicizia profonda sorta sull'asse Parigi - Milano, rinsaldata dal legame professionale, perché Christine dirige una casa di edizioni musicali. Ed è un vorace segugio di talenti. Mogol stappa una bottiglia. Sorseggiano qualcosa, poi Lucio rompe il ghiaccio: "Senti, allora ti faccio sentire due canzoni". Mogol fa cenno di sì.

Parte la musica, ma il paroliere si acciglia subito. Christine e Lucio se ne stanno in religioso silenzio, in attesa del verdetto. Ora il secondo pezzo ispeziona quel salotto, ma non genera reazioni di sorta. Lucio stacca la musica. "Ecco, è finito, erano queste". Mogol vorrebbe subito dire qualcosa, ma si vede che sta scegliendo accuratamente ogni sillaba. Solo che poi, dalle sue labbra, escono cinque parole contundenti: "Non mi sembrano un granché".

Chissà cosa deve aver pensato Battisti negli istanti immediatamente successivi a quella velenosa constatazione. Era giovane, d'accordo, ma il talento se ne infischia delle ragioni anagrafiche. Dopo gli esordi a Napoli si era trasferito a Milano, per fare parte de I Campioni, la band capitanata da Roby Matano. Lo stesso che poi in quel ragazzo sottile e testardo aveva scorto un baluginio sommerso, invitandolo a scrivere canzoni.

E quindi eccolo lì, adesso, piantato nel salottino di Giulio Rapetti con un'agente francese al fianco, mentre quello gli ha appena smontato due canzoni. Alcuni magari la prenderebbero sul personale, alzarebbero i tacchi e sbatterebbero la porta. Lui invece prende in contropiede Mogol. Calibra bene le parole e se ne esce ancora più ermetico: "Anche a me", sussurra allargando la bocca in un sorriso.

Christine, invece, sembra averla presa male. Mogol se ne accorge e decide di rincuorarla. In fondo l'umiltà mostrata da questo ragazzo l'ha spiazzato. Vero, come confesserà in seguito, in quel primo appuntamento non c'ha visto proprio nulla in Battisti, nei suoi testi, nella sua musica. Però forse ci si può lavorare. Dirgli che forse è meglio se prova a cantare, anche se quello è riluttante, che alle parole ci pensa lui. Così si alza ed emette una sentenza tutt'altro che tombale: "Ascolta, che ne dici di tornare da me tra qualche giorno? Ci prendiamo qualche ora per lavorare insieme e vediamo come va". Il volto di Lucio si illumina. Quello di Christine pure, perché è sventata l'ipotesi di una bocciatura netta.

Da quelle prime frequentazioni nasceranno Dolce di giorno e Per una lira. Poi il grande successo di 29 settembre. L'incipit di una collaborazione che rivoluzionerà la musica leggera italiana.

Partita con un rifiuto, come le storie d'amore più crepitanti.

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