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Rivoluzione spot: la famiglia è normale

La pubblicità Esselunga è un inno alla realtà: una coppia separata e niente "arcobaleni"

Fonte: Today
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Rivoluzione spot: la famiglia è normale

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Forse, per stare nel campo della pubblicità, le famiglie del Mulino Bianco non esistono. Ma è bello pensare che almeno quelle normali, sì. A proposito: quando Barilla puntò troppo sulle tradizioni italiane - un Paese tutto casa, mamma, papà, bimbe e fusilli - poi dovette fare marcia indietro, direzione gay friendly, per recuperare un po' di reputazione aziendale. Che noia. Quella che è invece gioiosa, commovente, amorevole e vera, e vorremmo implementare l'aggettivazione per innervosire ulteriormente il popolo arcobaleno, è la nuova pubblicità Esselunga.

Più di uno spot, un cortometraggio. Più di un cortometraggio, un sogno. Più di un sogno, la realtà. Una campagna pubblicitaria - in una società che vive la diversità come la norma - fieramente rivoluzionaria. Dura due minuti, s'intitola «La pesca» (frutto originario della Cina, vabbè, ma percepito come mediterraneo, romano, sovranista) e racconta una storia di ordinaria semplicità del quotidiano. Una mamma in un supermercato non trova più la figlia, scappata in un'altra corsia per comprare una pesca. Tornano a casa e quando il papà suona al citofono - i genitori sono separati - la piccola scende in strada, sale in auto con lui e gli regala la pesca, fingendo che sia un regalo da parte della madre. «Questa te la manda lei». Momenti di altissima commozione. Claim: «Non c'è una spesa che non sia importante». Forse manca un appello, sui titoli di coda, a firmare per un referendum abrogativo del divorzio, ma non si può chiedere tutto a un'azienda.

Ora, la cosa è molto delicata oltre che rivoluzionaria. Nell'ordine: la bambina non è di colore. A occhio non sembra frutto di una maternità surrogata. I due genitori sono separati sì, ma etero. Quindi stiamo parlando di una minoranza solitamente discriminata. La pesca non è biologica (Olè!). La cassiera non è né musulmana né di etnia sinti. Fra gli scaffali non si aggirano travestiti, ed è strano. Né mamma né papà hanno tatuaggi tribali sul collo. Ma soprattutto, ed è l'aspetto meno credibile della pubblicità (purtroppo), entrambi, lei e lui, usano - in centro a Milano, zona via Solari - un'automobile a testa. E non elettrica! Vorremmo che lo sceneggiatore fosse eletto sindaco al posto di Beppe Sala. Capite che tutto ciò non è accettabile. E infatti lo spot Esselunga è diventato subito oggetto di feroci attacchi sui social.

Apprezzatissima dall'area politico-sociale che fa riferimento a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, uno divorziato e l'altra convivente, sorta di super spot-regalo per il primo anniversario del governo sovranista - Dio, Patria, frutta italiana, cibi sani e Famiglia la pubblicità Esselunga, azienda che in passato ha subito la guerra delle cooperative rosse in mezza Italia, ha infastidito il popolo arcobaleno, quello viola, i piddini della corrente Elly Schlein e l'universo Lgbtq.

Domanda: cosa ne pensa la famiglia queer delle murge? Loro, in effetti, sono sempre andati alla Coop. Falce, carrello, tartine, papaya e monopattini. Reazioni: «La pubblicità Esselunga toglie diritti!». «Ci carica di sensi di colpa!». «Perché alla cassa non c'era l'onorevole Zan?». Esselunga è una azienda italianissima, fondata nel 1957, con 180 negozi tra superstore e supermarket, 25mila dipendenti e un fatturato di 8,8 miliardi di euro. La campagna pubblicitaria è dell'agenzia creativa americana «New York Small» (dove lavorano diversi italiani, che sanno cosa succede da noi), firmata da un regista francese, Rudi Rosenberg, e prodotta da Indiana Production. Forse Pro Vita&Famiglia diventerà presto loro cliente. In realtà lo spot di Esselunga non sembra voler ledere alcun diritto al divorzio, racconta di una bambina che soffre per la separazione dei genitori e dimostra che oltre all'orgoglio Woke ci sia il Paese reale. Sui social non si contano i like e i commenti tipo «Da stasera spesona all'Esselunga». E così la più bella sinistra libera e dem, per una volta, è dovuta uscire dalla Ztl.

Per andare alla Conad.

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