Auto, la crisi Usa non spaventa gli europei

da Milano

Stati Uniti croce e delizia del settore automobilistico. E se il denominatore comune delle preoccupazioni si chiama aumento delle materie prime (il prezzo del gallone di benzina, da 1,15 dollari del 1999 è arrivato a superare in alcune aree i 4 dollari) e la difficoltà a far fronte alle rate, i costruttori locali stanno pagando gli eccessi di una politica orientata sui maxisconti e il numero sproporzionato, in base alla richiesta attuale, di stabilimenti nel Paese.
Le vendite sono crollate, i modelli trainanti come i grossi Suv e pick-up tirano sempre meno, la necessità di risparmiare e contenere in consumi, rivolgendo l’attenzione a modelli più efficienti e di dimensioni ridotte, è ormai il dogma. General Motors, Chrysler e Ford («ci occorrerà più tempo prima di riuscire a raggiungere l’obiettivo del ritorno al profitto nel Nordamerica», ha dichiarato il ceo Alan Mulally) continuano così a soffrire. Il gruppo di Dearborn, il cui titolo è arrivato a perdere oltre il 6%, si è visto costretto a tagliare la produzione dei Suv. Jd Power, dal canto suo, ha già messo in conto che il 2008 sarà, per il settore, l’anno più nero da dieci anni a questa parte.
È sintomatico, a questo proposito, come la crisi che stanno attraverso le «Big Three» abbia contagiato anche colossi del calibro di Toyota, fino a poco tempo fa considerato «immune». Ecco allora che i giapponesi, per sostenere la produzione Usa, pensano di esportare verso Cina e Medio Oriente i grossi Suv e minivan, posticipando a tempi migliori l’apertura della nuova fabbrica in Mississipi. E così, mentre cominciano ad andare in porto i piani di ridimensionamento produttivo e del personale annunciati negli anni scorsi dai costruttori Usa, c’è chi vede - paradossalmente - il mercato a stelle e strisce come un’opportunità. Volkswagen e Fiat, per esempio, stanno pianificando una presenza produttiva negli States. I primi puntano a triplicare, entro il 2018, i volumi di vendita in America arrivando a un milione di unità. Gli italiani, invece, potrebbero sfruttare l’impianto di un’altra casa per riportare Oltreoceano il marchio Alfa Romeo e, come preannunciato dall’ad Sergio Marchionne, vendere anche la Fiat 500. Contatti, a questo proposito, sarebbero in corso con Chrysler che potrebbe fornire al gruppo di Torino parte di una o più linee produttive. Dove? Nell’Ontario, per esempio, dove Chrysler ha diversi siti e il governo dello Stato canadese ha promesso ponti d’oro in caso di un investimento Fiat. L’orizzonte a cui guarda Marchionne è comunque ampio e i piani Usa, una volta approvati, si concretizzeranno solo dal 2010 in poi. «Perché dall’Europa è cominciata la corsa agli Usa? Semplice - risponde Stefano Aversa, presidente di AlixPartners -: chiunque intende importare in America va incontro, con il cambio euro-dollaro attuale, a svantaggi in termini di costi intorno al 30%, più o meno il margine di cui beneficia una casa a veicolo. Ma i risparmi maggiori arrivano dall’acquisto in loco della componentistica, settore che soffre degli stessi mali delle Big Three, come quello della «sovracapacità» (lo stesso virus che costringerà la Gm a chiudere l’impianto canadese che produce cambi da esportare in Usa e Messico, ndr). Per gli europei è dunque necessario localizzare il più possibile nelle zone dollaro-dipendenti». Proprio Bmw, che produce da anni nel Sud Carolina, prevede di incrementare per i prossimi quattro anni gli acquisti di componenti dagli Usa approfittando così del deprezzamento del dollaro. E giocando sulla maggiore efficienza dei motori che equipaggiano i Suv prodotti negli Stati Uniti, rispetto alla concorrenza locale, il gruppo bavarese ha deciso di aumentare la capacità del sito di Spartanburg da 160mila a 240mila unità entro il 2012. Una strategia che va controcorrente rispetto a quella adottata dai rivali yankee, costretti ad affrontare una terapia dimagrante.


Come Bmw, anche Mercedes, che pure produce in Usa, «gioca» sui motori che guardano soprattutto all’ambiente, quelli con tecnologia BlueTec, applicati ai nuovi Suv. Intanto Smart (saranno 40mila quelle distribuite quest’anno dal gruppo Penske) e Mini cominciano ad abituare gli americani alle taglie «small». In attesa, chissà quando, della 500.

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