Ieri a Parigi è stata inaugurata la nuova sede del Musée des Lettres et Manuscrits. La prima esposizione, in cartello fino al 29 agosto, è dedicata a Marcel Proust (Dal tempo perduto al tempo ritrovato) e offre una montagna di inediti: 160 documenti, lettere sconosciute, fotografie rare. Un’occasione unica per dare un’occhiata all’officina dell’autore. Impressionante la serie di manoscritti della Recherche, che mostrano una instancabile attività di riscrittura e revisione: una miniera e forse un rompicapo per chi si occupa di critica delle varianti d’autore. Interessante anche la corrispondenza. Come potete leggere in questa pagina, Proust, un autentico grafomane capace di vergare diciotto lettere al giorno, affronta anche temi cruciali: il ruolo della perversione nella sua opera, la malattia, l’amicizia; oppure chiede informazioni di carattere mondano (sui vestiti alla moda, ad esempio) destinate poi a confluire nelle scene principali della Recherche.
Tuttavia, ciò che più colpisce sono le parole con le quali questa iniziativa viene presentata al pubblico. Le Magazine Littéraire, facilmente reperibile anche in molte librerie italiane, dedica 44 pagine all’evento (più una al Museo in sé e altre sette al mondo pittorico della Recherche). Maxime Rovere, il coordinatore di questo «speciale», scrive che, a prescindere dal giudizio finale, esiste per ogni lettore un «prima e un dopo Proust» perché un classico «cambia irreversibilmente la nostra percezione del mondo», anche nel caso non dovesse incontrare il nostro gusto. Quindi ribadisce che Proust è un «eroe nazionale» e in quanto tale «la sua presenza nell’immaginario collettivo è centrale». In altre parole è indispensabile capire «chi è Proust» per capire «chi noi siamo». Conclusione: vista la quantità di informazioni offerte da Proust sull’identità nazionale (e personale) la pur monumentale Recherche risulta essere «troppo corta».
Retorica? Forse. Comunque meglio un po’ di retorica allo stato di abbandono, disarmo, senso di futilità e sfiducia che assedia il mondo letterario italiano, e per mondo letterario non intendo il premio Strega e affini. Talvolta la polemica giornalistica spinge a spararle grosse e c’è chi mette sull’altare Faletti per abbattere Kafka. Ma in fondo anche un venerato maestro come Gillo Dorfles in un suo scritto recentissimo apparso sul Corriere della Sera afferma che la critica dovrebbe tornare a dire la verità, e tra le verità della critica ci sarebbe anche questa: «che i grandi scrittori del secolo scorso, con tutta la loro grandezza, hanno fatto il loro tempo: persino i Proust e i Sartre, i Broch o i Cocteau, Henry Miller o Joyce».
Riuscite a immaginare una mostra come quella parigina in Italia, dedicata a uno dei nostri grandi autori e presentata con lo stesso orgoglio? Difficile. E così mentre l’Italia lascia marcire i manoscritti nelle biblioteche di cui manca perfino il catalogo, la Francia tira a lucido i suoi gioielli. Che brutto prendere lezioni da Parigi.
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