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Una Porsche 912 per la "spia" Redford

Nel piccolo capolavoro spionistico diretto da Tony Scott, un pregevole Robert Redford sfreccia su una Porsche 912. Per Stoccarda doveva essere una versione "economica", per noi un sogno compromettente

Una Porsche 912 per la "spia" Redford

Noi cinefili appassionati di auto d'epoca ci emozioniamo sempre un poco quando il veterano agente della CIA Nathan Muir, interpretato da un Robert Redford in salsa I tre giorni del Condor un pelo più âge e decisamente più “operativo”, sfreccia per le strade della Virginia su uno dei classici più rivalutati della mitologica scuderia di Stoccarda: la Porsche 912.

Nella pellicola Spy Game, dopo aver sparato l’ultima cartuccia della sua lunga carriera da spia, il protagonista che sembra ricalcare le orme dell’Amico ritrovato di Uhlman, gira la chiave di una 912 colore Irish Green del’69 e fugge verso un futuro sotto copertura; quasi citando l’inizio di Le 24 ore di Le Mans, dove il “King of cool” McQueen sfreccia per quiete strade di campagna alla guida di una dissimile Porsche 911 S grigio ardesia. Cosa cela dunque quell’unica cifra di differenza?

Sorella minore della 911, la Porsche 912 venne progettata come sportiva entry level da herr Ferdinand Porsche, per colmare un segmento di mercato che era rimasto scoperto tra la produzione del primo modello di serie 356 e l’avvento della leggendaria 911. Con l’idea di attrarre, dal 1965 al 1969, i clienti che si sarebbero accontentati di quella che in fin dei conti era solo una versione della 911 più economica e meno potente. Esteticamente e tecnicamente la 912 era pressapoco identica alla 911. La differenza era tutta a livello motoristico, dal momento che nell’alloggiamento posteriore trovava posto un motore boxer a quattro cilindri da 1,6 litri destinato alla 356 SC.

Porsche 912

Presentata al salone di Francoforte nel ’65, la Porsche 912 - che si sarebbe dovuta chiamare 902 insieme alla sorella maggiore cui spettava il numero di 901, se la Peugeot non avesse poi certamente sollevato diatribe legali - si rivelò estremamente apprezzata dal pubblico dato il prezzo e l’affidabilità. Rendendola, nonostante il suo titolo riconosciuto di “entry level”, un ambito oggetto del desidero che seppur meno potente e meno accessoriato della 911, poteva raggiungere un velocità massima 185 km/h, ed essere ordinata nella configurazione “Targa” proprio come la sorella maggiore. La produzione raggiunse le 30.000 unità, tramutandosi in un classico da rivalutare di casa Porsche. Forse più della seconda versione "E" che verrà riproposta - essenzialmente per il mercato americano - nel 1976, riscuotendo poco successo allora, ed essendo prodotta solo in 12.000 esemplari. Numero che oggi invece la rende assai attraente per i collezionisti.

Nel film più che apprezzabile del compianto e piccolo Scott - che neanche a volersi prestare per vezzo a questa nostra stesura, è proprio il fratello minore del forse più noto Ridley - un quasi pensionato agente della più famosa agenzia di spionaggio del mondo pare rappresentare il prototipo di un estimatore del “bello” che per ragioni di basso profilo o deformazione professionale si dimostra estremamente “oculato”. La scelta di questa automobile, guidata durante le riprese ma fuori dal set anche da Brad Pitt, coprotagonista di Redford, potrebbe essere stata del tutto casuale. Ma rappresenta essenzialmente la scelta di un professionista che si concede il lusso di una sportiva d’epoca senza dover puntare necessariamente al top di gamma. Un intenditore che sa come viziarsi, tra giacca in tweed che hanno la fama d’essere eleganti quanto resistenti al tempo, e ottimo scotch scozzese invecchiato “almeno 12 anni”. Insomma, l’archetipo di gentleman che "non stanca" proprio perché punta su quel classico che non stanca.

Certo, le missioni sotto copertura che scandiscono la pellicola, tra Laos, Germania dell'Est e Libano come "gioco" devono essere un ottimo antidoto contro la noia. Ma anche noi che dobbiamo accontentarci della guida sportiva, da Nathan Muir qualche piccolo spunto possiamo comunque trarlo: mettere da parte del denaro in vista della pensione, non fidarci mai troppo dei primi della classe, e non abbandonare mai un amico in difficoltà.

La sua salvezza varrà più d'ogni tesoro del mondo.

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