
C’è sempre un momento, prima della partenza, in cui tutto tace. I motori ancora spenti, la folla che si muove attorno alle auto quasi in punta di piedi, il silenzio sospeso dell’attesa. È stato lì, tra la luce di prima mattina e l’odore di benzina che abbiamo guardato la "vecchia signora", così abbiamo soprannominato la Fiat 600 del 1956, e ci siamo dette: si parte.

La 1000 Miglia 2025 è stata questo e molto di più. È stata un’immersione nell’Italia più autentica, attraversata da nord a sud e ritorno, in una delle manifestazioni motoristiche più iconiche al mondo. Al nostro fianco, Stellantis Heritage. Alla guida, Laura Confalonieri, vicedirettrice di Ruoteclassiche. La sottoscritta al suo fianco come copilota. Due donne, una macchina d’altri tempi e una passione condivisa per la storia, per la meccanica e per quel modo di viaggiare che ha un sapore diverso, più lento, più pieno.

Cinque giorni intensi, che hanno ricalcato lo storico tracciato a “otto”, con partenza e arrivo a Brescia. Il primo giorno ci ha portate a San Lazzaro di Savena, attraversando Desenzano, Sirmione, Verona, Ferrara e Bologna, accolte da un pubblico festoso che sembrava avere già capito che questa edizione avrebbe avuto qualcosa di speciale. Il giorno successivo ci siamo dirette a Roma: una delle tappe più lunghe e impegnative, con i valichi della Futa e della Raticosa da attraversare sotto un sole implacabile, alternato a improvvisi acquazzoni che mettevano a dura prova guidatori e meccanica.

Da Roma la Freccia Rossa della 1000 Miglia ha ripreso la via del nord, salendo verso Cervia-Milano Marittima. Durante questa tappa abbiamo attraversato Orvieto, Arezzo, Sansepolcro, fatto tappa simbolica a San Marino e percorso lunghi tratti di colline umbre e toscane. A bordo della nostra Fiat 600, ogni chilometro diventava racconto. Ogni curva era una pagina girata di una storia lunga quasi settant’anni.

Il quarto giorno è stato forse il più duro: da Cervia a Parma, passando per Forlì, Empoli, Livorno, Viareggio e poi su per il Passo della Cisa. Oltre 500 chilometri tra caldo torrido, cronometrate serrate e panorami mozzafiato. Eppure, la “piccola grande” Fiat non ha mai ceduto. Ha affrontato ogni asperità con il suo passo corto, il suo motore onesto e la sua dignità senza tempo.

Infine, il ritorno a Brescia. L’ultima tappa ci ha visto attraversare Cremona, Soncino, Palazzolo sull’Oglio, Gussago. La tensione era sparita. Restava la gioia di chi sa di aver vissuto qualcosa che non si ripeterà mai nello stesso modo. Il traguardo di Viale Venezia, tra le mani tese del pubblico, era solo un dettaglio. Il vero premio era tutto quello che era accaduto nel mezzo.

La Fiat 600 del 1956 non è stata solo un mezzo di trasporto. È stata la protagonista di un esperimento umano e meccanico. Nessuna tecnologia moderna, nessuna assistenza elettronica. Solo due sedili stretti, bagagli ridotti all’osso, la voglia di lasciarsi sorprendere. In ogni tappa, la gente si avvicinava con un sorriso. C’erano quelli che ricordavano quando, da bambini, ci viaggiavano con la famiglia. Altri la fotografavano con reverenza, come si fa con un oggetto raro. Alcuni ci fermavano per raccontarci storie personali, vissute su una 600 identica alla nostra. Era come se quell’auto, minuto dopo minuto, stesse ricucendo il filo della memoria collettiva.

Accanto a noi, nel corteo della 1000 Miglia, viaggiavano le nuove Fiat 600 Hybrid e la grintosa Abarth 600e Scorpionissima. Le abbiamo incontrate ai checkpoint, le abbiamo osservate mentre sfrecciavano leggere e silenziose. Eppure, mai come quest’anno, il confronto tra passato e presente è stato così tangibile. Il nostro piccolo abitacolo scaldato dal motore, le mani sporche di olio a fine giornata, i pochi cavalli che arrancavano in salita: tutto questo ci ha fatto riflettere su come è cambiata la mobilità. Eppure, in quella semplicità c’era un messaggio forte. Viaggiare non è solo arrivare. È un atto di pazienza, adattamento, meraviglia. La Fiat 600 ce l’ha ricordato ad ogni semaforo, ad ogni curva.

A Brescia, l’arrivo è stato una festa. Ma la vera vittoria non è stata quella ufficiale. È stata umana. I bambini che ci salutavano dalle transenne. Le chiacchiere improvvisate con altri team nelle pause tra una prova e l’altra. Le mani unte degli artigiani e meccanici che ci accoglievano nei controlli orari. La 1000 Miglia non è una gara. È una narrazione condivisa. Un lungo racconto italiano che si arricchisce ogni anno di nuovi capitoli, nuovi personaggi, nuove emozioni.
Quest’anno, abbiamo avuto l’onore e la responsabilità di scriverne uno, al fianco della nostra Fiat 600. Una macchina che ci ha insegnato, ancora una volta, che non conta quanto veloce vai. Conta quanto cuore metti nel viaggio.