Autonomi isolati, flop del presidio a San Vittore

Gianandrea Zagato

L’appello alla mobilitazione «antifascista» degli autonomi cade nel vuoto. Davanti a San Vittore si presentano appena cinquecento compagni, compresi gli otto arrivati da Viterbo, i cinquanta giunti da Bologna e i sette dell’Antifaschistiche action di Berlino che sono ospiti del centro sociale Orso di via Gola. Cinquecento antagonisti che per due ore, in piazzale Aquileia, reclamano la scarcerazione dei prodi autonomi protagonisti degli scontri di sabato scorso in corso Buenos Aires.
Centoventi minuti davanti al carcere di San Vittore contrassegnati dalla memoria di Dax, militante dell’Orso ucciso tre anni fa, che «vive e odia insieme a noi» e da slogan che vorrebbero riportare indietro le lancette della storia. «Fuori i compagni dalle galere, dentro gli sbirri e le camicie nere», «Uccidere un fascista non è reato», «Fascisti e polizia, vi spazzeremo via» ovvero i classici, si fa per dire, dell’antifascismo militante. Coretti a uso e consumo di chi rivendica la paternità della guerriglia metropolitana scatenata nel cuore di Milano che, ieri pomeriggio, non è stata però replicata: «Non c’è spazio per forzature e provocazioni di alcun genere, noi siamo in presidio». Difficile, poi, fare un replay anche perché c’è uno schieramento niente male di agenti e carabinieri che «tiene sotto controllo» piazza Aquileia e le strade adiacenti a San Vittore: almeno seicento uomini in assetto di combattimento che sconsigliano quindi ogni azione all’estrema sinistra.
C’è dunque solo «spazio» per lanciare musica, proclami e parole d’ordine da quell’impianto sound system che, confidano gli autonomi, «costa un occhio della testa» e che, evidentemente, vogliono riportare a casa tutt’intero. Ma l’obiettivo dei duri e puri dell’autonomia va comunque conquistato, non basta gridare che «la battaglia continua insieme a tutte le realtà e soggettività che vogliono contrastare la presenza fascista nel territorio». E il primo atto di «contrasto» si concretizza nello strappo dei manifesti targati Forza Italia e Alleanza nazionale che mostrano le immagini degli sfasciavetrine. Operazione seguita dalla diffusione di un manuale d’istruzione dal titolo eloquente, «un bel tacer non fu mai scritto» ovvero «autodifesa politico-legale» contro «la repressione dello Stato verso gli antifascisti militanti». Libercolo d’un tempo sbiadito che, in piazzale Aquileia, si vorrebbe rinverdire. Come accade anche in via Mancinelli, a due passi da piazzale Loreto, dove il Leoncavallo commemora i compagni Fausto e Iaio, «uccisi nel 1978 dallo Stato e dai fascisti».
Appuntamento della memoria col pugno chiuso e senza slogan, neanche quello doc «uccidere un fascista non è reato». Meglio evitare di essere confusi con gli estremisti dell’Orso, Pergola, Panetteria okkupata e via dicendo.

Distinzione solo nel nome di una campagna elettorale, sia chiaro: il portavoce del Leonka, Daniele Farina, è candidato di Rifondazione alla Camera e non sarebbe proprio il caso di sollevare un nuovo caso Caruso. Già bastano i prodi autonomi.

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