Avati: adesso indago sulla paternità in crisi

Il regista lavora a un nuovo film con Abatantuono e quattro attrici: Neri, Incontrada, Placido e Sastre

Michele Anselmi

da Roma

Per prolificità artistica, tra i registi in attività, viene dopo Woody Allen e Claude Chabrol. Mica male, no? In media un film all'anno, negli ultimi tempi anche due. E infatti, mentre è ancora in giro La seconda notte di nozze, arrivato a oltre 3 milioni di euro, Pupi Avati ha già cominciato le riprese del nuovo La cena per farli conoscere. Instancabile. Ogni volta che si rivolge a un produttore-distributore, si sente chiedere con un misto di curiosità e rassegnazione: «Ma quando l'hai scritto?». Perché si parla di un progetto e lui ne ha già pronto un altro. Anche in questo caso: sul suo tavolo giace infatti il copione di un giallo da girare negli Usa.
Sabato sera, alla Casa del Cinema, il cineasta ha ricevuto il Satiro 2005, premio giunto alla terza edizione. Dopo Michel Serrault e Robert Carlyle è andato a lui il riconoscimento patrocinato da Istituto Luce, Regione Lazio, Scuola nazionale di cinema e Cinecittà Holding. Satiro nel senso della commedia, anche se il cinema praticato da Avati tradizionalmente intreccia sorriso e malinconia, con punte di toccante pessimismo, sempre ponendosi come riflessione sulla condizione umana.
Nel caso di La cena per farli conoscere trattasi di «commedia sentimentale» contemporanea. «La prima interamente girata a Roma», rivela Avati. Cast tutto al femminile, con Inés Sastre, Vanessa Incontrada, Violante Placido nei panni delle tre figlie, avute da donne diverse, di un ex attore famoso finito a fare soap per la tv, tal Sandro Lanza, ovvero Diego Abatantuono. La cena del titolo è quella che le tre giovani donne organizzano per alleviare le pene del genitore, ormai a un passo dalla depressione, forse dal suicidio. Ma avranno visto bene nell'invitare l'algida e sofisticata Francesca Neri, signora del jet-set romano appena mollata dal marito? Spiega il regista: «Il tutto si incentra sul ruolo della paternità: tema piuttosto rimosso dalla cultura del presente. In fondo il film racconta il percorso tra il buffo e l'amarognolo che compie questo padre degenere. Nel momento del declino si ricoagula un'attenzione mai prestata prima, l'occasione della cena servirà a fargli capire compiti e responsabilità». Di più non dice, Avati.
Poco prima l'incontro pubblico, pilotato da Marco Spagnoli, aveva offerto lo spunto per parlare di vari temi: l'amicizia, i generi, la musica da film, l'invidia divorante, i tre figli decisi a seguire le orme del padre, le sconfitte, il fratello Antonio, soprattutto l'eterno dilemma tra passione e talento, che è un po' diventato, dopo l'autobiografico Ma quando arrivano le ragazze?, l'ossessionante leit-motiv del suo ragionare sull'esistenza. Non è mancata una battuta, sacrosanta, all'indirizzo del collega Woody Allen, «ottimo regista e pessimo clarinettista»: «È l'unico jazzista americano che non conosce lo swing». Vero.
Tornato di buon umore dopo la poco esaltante esperienza politica in qualità di presidente di Cinecittà Holding, Avati si conferma abile narratore di aneddoti e sensazioni. Teorizza, a proposito del suo sguardo sulla Storia: «Non mi piacciono i vincenti. Preferisco raccontare il soccombente, perché è sempre più informato sui fatti, fosse pure una guerra, e perché l'essere umano sconfitto è più interessante. Anche per questo, forse, sono sempre scontento». Insomma, il cinema come racconto di debolezze, e insieme come monito a chi esercita il pregiudizio, a chi è distratto. «Sarà perché sono cristiano, ma l'esperienza mi ha insegnato ad ascoltare le persone, prima che sia troppo tardi. Quante tragedie avremmo potuto evitare se avessimo prestato attenzione a coloro che chiedevano aiuto, che esprimevano un disagio?».
A sorpresa arriva, pubblicamente, una dichiarazione di stima da Citto Maselli, regista éngagé e ultracomunista, presente in sala: «Lo confesso, da Aiutami a sognare in poi sono diventato un fan sfegatato di Pupi». E giù sorrisi, ricordi e battute sul concetto d'autore. Ad esempio, sui titoli di testa Avati preferisce mettere: «Scritto e diretto da...»; mentre da sempre Maselli preferisce la dizione «un film di...». Anche se, riconosce ora il regista di Il sospetto, «in quel “di...” c'è un elemento di stronzaggine segreta».
Il racconto vira verso la commozione quando Avati rievoca gli ultimi anni di Fellini, amico e vicino di casa. «Federico era diventato antagonista di se stesso, viveva con insofferenza il rapporto con ciò che era stato». Al punto da telefonare tre volte a Giulietta Masina, per senile insicurezza, durante una proiezione riservatissima di La voce della Luna, suo ultimo film.

«Voleva sapere, lui, Fellini, forse il più grande del mondo, se ridevamo, se apprezzavamo. Io avrei detto che era un capolavoro anche fossi rimasto per un'ora e mezzo davanti a uno schermo nero», ammette Avati. E in sala scatta l'applauso.

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