Se pensi a Richard Avedon ti vengono subito in mente le sfilate, il calendario Pirelli, le modelle più belle del mondo. Eppure il suo più intimo interesse era riposto nella gente, nei ritratti, nella società che osservava con occhio irriverente. Amava il glamour, ma con riserva. Universalmente considerato uno dei nomi più importanti nel mondo della fotografia di moda degli ultimi 50 anni, Avedon raggiunse la notorietà anche grazie ai suoi reportage dedicati alla protesta contro la guerra del Vietnam o alla classe operaia del West americano, lavoro che lo impegnò cinque anni e che gli permise di entrare in contatto con personaggi curiosi scovati negli angoli più remoti degli Stati Uniti. Entrò negli ospedali, nelle fabbriche, nelle fattorie. Andò da braccianti, minatori, neri e sudamericani.
I suoi primi impegni documentarono lItalia del secondo dopoguerra. Alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, fotografò la folla in festa alla porta di Brandeburgo durante la notte di San Silvestro. Senza contare linfinita serie di scatti a uomini di Stato, artisti, attori e altre personalità, di cui la sua professione è costellata. In pratica, senza il suo operato, sarebbe impossibile scrivere la storia della fotografia. Sessantanni di carriera, conclusasi solo alla sua morte avvenuta nel 2004 e celebrata ora dalla più ampia retrospettiva a lui dedicata. Lunica tappa italiana sarà Milano, poi le opere gireranno il mondo: Parigi, Berlino, Amsterdam, San Francisco. La mostra apre domani, allo Spazio Forma, il centro internazionale di fotografia di Milano, e raccoglie 250 immagini tra le più rappresentative del suo percorso creativo, dal 1946 al 2004. (Catalogo Contrasto).
La sua macchina fotografica immortalò star del cinema come Katherine Hepburn, Humphrey Bogart, Brigitte Bardot, Joan Baez, Buster Keaton e Charlie Chaplin; politici, intellettuali e artisti del calibro di Karen Blixen, Truman Capote, Henry Kissinger, Pablo Picasso, Dwight Eisenhower, Edward Kennedy, i Beatles e Andy Warhol. Di ognuno di loro e di altri ancora ci regalò una visione intima e indelebile. Provocatorio e anticonformista come solo Avedon sapeva essere, arrivò perfino a inquadrare il padre affetto dal cancro e a raccontarci la fase terminale della malattia.
Eppure, nonostante il suo interesse lo abbia davvero condotto lungo le più disparate strade, continui a ricordarti di lui come il leggendario art director di Harpers's Bazar prima e di Vogue poi. Prediligeva il formato quadrato, scontornato da un bordo scuro. Il suo linguaggio era il bianco e nero, ma cè uno scatto di Dalì a colori che sembra scoppiettante come un fuoco dartificio. I suoi soggetti erano sempre in bilico fra tragedia e ironia. Lesasperazione statica della mimica facciale una delle più evidenti caratteristiche. Avedon fu uno degli autori che più strettamente collaborò con Marilyn Monroe quando la diva viveva a New York ed era sposata con Arthur Miller. Ma con lei intrattenne rapporti strettamente professionali. Se pensi a lui, pensi anche a «Dovima e gli elefanti al circo dinverno»: Parigi, scena surreale: una mannequin infilata in un abito Dior. Era lagosto del 1955. Sinuosa, elegante, la sua perfezione si muoveva in mezzo a un branco di pachidermi aggraziati quanto lei.
Richard AvedonFotografie dal 1946 al 2004
Spazio Forma, piazza Tito Lucrezio Caro
Fino all8 giugno
Informazioni: 02.58118067
www.formafoto.it
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