Cronache

Da Avetrana a Torpignattara: il cellulare meglio di Maigret

Una chiamata può cambiare un’inchiesta. Fa scoprire la sacca dei soldi rapinati ai cinesi di Roma, fa svoltare le indagini su Sarah: così il telefonino risolve (o complica) i gialli

Da Avetrana a Torpignattara: il cellulare meglio di Maigret

Un cellulare che squilla insistente nel bagagliaio: così una suoneria sabato scorso ha fatto recuperare il corpo di Pietro Tevere, l'uomo sparito nel nulla e poi trovato cadavere all'imbocco dell'autostrada Milano-Torino. Il suo telefono aveva lasciato una traccia precisa: si era agganciato a una cella e proprio lì vicino la moglie ha composto il numero del coniuge. Il suono familiare l’ha guidata al bagagliaio dell’auto dove ha scoperto il corpo senza vita del marito. Nello stesso giorno la borsa con 10mila euro sottratta a una coppia cinese durante una rapina culminata con l'uccisione di Zhou Zheng, e di sua figlia Joy, è stata ritrovata grazie al telefonino lasciato al suo interno. Il cellulare è sempre con noi, ci insegue ovunque andiamo, e racconta a tutti la nostra storia. Anche agli inquirenti che indagano su un omicidio.
«Dal caso Meredith al quello di Melania Rea, da Yara Gambirasio a Garlasco, nei delitti più drammatici degli ultimi anni c'è sempre stato un cellulare di mezzo - spiega il criminologo Francesco Bruno -. Tanto che il criminale che vuol compiere il delitto perfetto per prima cosa si sbarazza del telefono. Tenerlo è come avere un poliziotto nel taschino». Lo sapeva bene Totò Riina che affidava le comunicazione con l'esterno ai famosi pizzini, ma non tutti sono stati accorti quanto lui: sfuggire al grande fratello della telefonia mobile non è uno scherzo.
Lo sa bene Salvatore Parolisi: la sua colpevolezza è ancora tutta da dimostrare, ma per l'omicidio di Melania Rea una delle prove dell’accusa è proprio un cellulare, quello «segreto» con cui il caporale del 235° Reggimento «Piceno» manteneva le comunicazioni con l'amante. A destar sospetti il fatto che Parolisi lo abbia gettato via in un campo sportivo.
«Il poliziotto da taschino» in realtà può rivelarsi anche un prezioso alleato del criminale nel depistaggio delle indagini: allora ecco i cellulari che spariscono nel nulla, o quelli che spuntano fuori miracolosamente e quando meno te lo aspetti. Quello di Sarah Scazzi, ad esempio fu ritrovato dallo zio Michele e proprio la sua segnalazione insospettì a tal punto gli inquirenti da far pensare a un tentativo di confondere le acque.
Che i mezzi comunicazione seminino tracce lo aveva già capito Leonarda Cianciulli 70 anni fa. A saperle usare possono depistare alla grande: nel 1939 iniziò ad attirare donne in casa sua a Correggio per ucciderle e saponificarle con la soda caustica. Ma ogni volta aveva l'accortezza di far firmare loro delle cartoline che venivano spedite dopo la loro scomparsa: i parenti e gli amici stavano tranquilli e lei poteva agire indisturbata. Chissà quale stratagemma diabolico si sarebbe inventata la Cianciulli con un cellulare in mano.
Ma c’è anche chi dopo un delitto, non tenta nemmeno il depistaggio: a Vignola in provincia di Modena un 35enne brasiliano lo scorso maggio ha ucciso con undici coltellate una badante polacca. Poi non ha resistito all'impulso di raccogliere il cellulare della vittima e di usarlo offrendo in questo modo ai carabinieri la possibilità di inchiodarlo.
«Casi di questo tipo oggi sono sempre più rari - spiega Bruno - perché tutti sanno che il cellulare è uno strumento di controllo. Eppure qualcuno non riesce a rinunciare». In parte perché, spiega il criminologo «chi commette un reato spesso inconsciamente vuole essere scoperto». E poi anche perché della comunicazione telefonica è difficile capire le implicazioni pubbliche: «Vale soprattutto per internet, ma anche per il telefono è vero: parlare attraverso la cornetta ti fa sentire più libero e ti spinge a comunicare in maniera più disinvolta». E magari a commettere quei passi falsi che sono tanto utili agli inquirenti.
Sembrerà paradossale, ma questa protesi chiamata telefono che ci segue ovunque e sa tutto di noi, riesce ad alimentare ancora l’illusione dell’anonimato. E per molti portare a casa il cellulare della vittima o fare telefonate compromettenti è una tentazione a cui è difficile resistere: è come impadronirsi di un pezzo della sua vita.

Ucciderla un’altra volta.

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