
Torna alla ribalta il «Dieselgate» nella sua formulazione originaria, ovvero «Volkswagengate», lo scandalo emerso nel settembre 2015 delle centraline truccate per ridurre le emissioni di automobili munite di motore Diesel del gruppo Volkswagen vendute negli Usa e in Europa. La vicenda, che vede ora un giudice condannare quattro ex manager del gruppo, è costata al colosso tedesco dell'auto, in un decennio, tra cause e costi vari, una trentina di miliardi. E così, a distanza di 10 anni dallo scandalo che via a via ha intaccato altri gruppi automobilistici e condizionato regole e scelte politiche sul settore, ecco il nuovo colpo di scena. Due dei quattro ex manager della Volkswagen sono stati dichiarati colpevoli di truffa, per gli altri la corte ha optato per la sospensione condizionale della pena. La sentenza, dopo tre anni e mezzo di dibattiti processuali, è arrivata dal tribunale di Braunwschweig.
Ad avere la peggio è stato l’ex dirigente senior nello sviluppo dei motori Diesel, condannato a quattro anni e mezzo di carcere, mentre al responsabile della tecnologia dei propulsori sono stati appioppati due anni e sette mesi. Sospensione condizionale di un anno e tre mesi per il responsabile dello sviluppo del marchio principale Volkswagen, il dirigente più anziano. Stessa sorte per il collega a capo del dipartimento per il controllo delle emissioni Diesel: condanna a un anno e 10 mesi con sospensione condizionale della pena.
Ulteriori procedimenti penali, contro un totale di 31 imputati, sono ancora aperti a Braunschweig. Anche l’ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, avrebbe dovuto essere inizialmente incluso nel processo di Braunschweig. Tuttavia, il suo caso è stato separato prima dell’inizio del processo per motivi di salute. Winterkorn, ai tempi il top manager più pagato in Germania e con una pensione milionaria, ha sempre negato qualsiasi responsabilità personale nell’organizzazione, affermazione non veritiera a parere dei pubblici ministeri da sempre convinti che l'ex potente capo del colosso fosse a conoscenza dei dettagli del software illegale al più tardi nel maggio 2014, prima di quanto l'ex dirigente abbia ammesso.
I risvolti italiani e la class action di Altroconsumo
Dallo scorso 10 aprile 2025 la piattaforma digitale realizzata da Altroconsumo, organizzazione leader di consumatori, in esecuzione dell’accordo transattivo raggiunto lo scorso anno con il gruppo Volkswagen, ha concluso la class action sulla vicenda delle emissioni truccate. Accedendo alla piattaforma, gli oltre 60mila consumatori ammessi dalla Corte di Appello e dal Tribunale di Venezia, possono così aderire all’accordo e ottenere il pagamento di una somma tra 550 e 1.100 euro per singolo proprietario, secondo le casistiche e le modalità previste dall'accordo transattivo. «Grazie a questa piattaforma - spiega una nota di Altroconsumo - è possibile gestire efficacemente le complesse operazioni con semplicità d’uso e con elevati standard tecnologici in termini di privacy e sicurezza informatica». «Altroconsumo e Volkswagen - aggiunge la nota - hanno continuato a collaborare per rendere operativa l'intesa raggiunta, che ha consentito di concludere la vicenda giudiziaria della durata di oltre 9 anni e di assicurare un risultato ai consumatori coinvolti». Il portale (www.classactionemissioni.it) è attivo a partire dallo scorso 10 aprile e accessibile per otto mesi, fino al 10 dicembre prossimo.
Tutto è nato dalla violazione del «Clean Air Act» americano
Lo scandalo noto in tutto il mondo come «Dieselgate» è iniziato nel settembre 2015, quando l'Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, aveva notificato al colosso di Wolfsburg un avviso di violazione del Clean Air Act, la legislazione americana sulla qualità dell’aria. Per l’Agenzia i tedeschi avevano intenzionalmente progettato i propri motori Diesel Turbocharged Direct Injection (TDI) affinché attivassero i sistemi di controllo delle emissioni solamente durante i test di controllo. Ciò aveva lo scopo di fare in modo che le emissioni di ossidi di azoto dei veicoli rientrassero entro i limiti prescritti dalla legislazione statunitense.
Era quindi emerso che i veicoli interessati, durante l'uso normale fuori dai test di laboratorio, producevano emissioni di NOx fino a 40 volte superiori rispetto ai valori registrati nei test. Lo scandalo si è presto allargato a macchia d’olio interessando anche l’Europa, coinvolgendo altri costruttori e danneggiando fortemente l’immagine delle motorizzazioni a gasolio nonostante le recenti tecnologie abbiano portato a reali e drastiche riduzioni delle emissioni.
Di fatto, la vicenda ha fornito un fondamentale assist a chi è da sempre contro l’auto in senso lato, sfociando in strumentalizzazioni politiche e ideologie che hanno finito per ledere il sistema automotive europeo e tutto quello che lo circonda.