Roma - Implora pietà. Ma nessuno lo sente, mentre una bocca di fuoco, dal tettuccio dell’auto, gli si para in faccia, per spappolargliela con 70 colpi in un minuto e mezzo. Dopo, il cadavere del presidente della confindustria tedesca Hanns Martin Schleyer, giacerà in una strada di Colonia, la Vincenz-Statzt Strasse. E si chiama Vinzenz, Vinzenz Kiefer, pure l’attore che, adesso, porta sul grande schermo il terrorista Peter-Juergen Boock, il perfetto assassino che nel 1977 guidò il commando della RAF, quel gruppo terroristico tedesco di estrema sinistra (Rote Armee Fraktion, Frazione dell’Armata Rossa), diretta emanazione della preesistente banda Baader-Meinhof, a eliminare Schleyer, un capitalista col passato da nazi, cosa di cui, peraltro, egli si vantava in tivù. Vittima ideale da far fuori, come usava negli anni tristi della Bundesrepublik: a colpi di mitra, il ciuffo ribelle sugli occhi, i jeans a pelle, gli stivaletti ai piedi.
Si apre con questa rapida sequenza sanguinosa l’atteso film di Uli Edel (il regista di Christiane F.) La banda Baader-Meinhof (il titolo originale, Der Baader-Meinhof-Komplex, Il complesso Baader-Meinhof, non piace alla Bim, che lo distribuirà il 31 ottobre, dopo il passaggio al Festival di Roma) e sta già facendo discutere i tedeschi, pronti a vederlo il 25 settembre.
E se, da noi, un giorno sì e l’altro pure si dibatte sul fascismo, su Salò, sulle Br e sugli anni di piombo, questioni remote e poco attraenti per i più giovani, dritto dritto dall’armadio degli scheletri, arriva qualcosa di diverso dal genere «passato che non passa», oppure «autunno tedesco», nel filone romantico-intimista alla Margarethe von Trotta (chi non ricorda il suo Anni di piombo, del 1981, praticamente un monumento ai «martiri» del carcere di Stammheim, i terroristi suicidi Gudrun Ensslin e Andreas Baader, messi in bella copia?).
Innanzitutto, La banda Baader-Meinhof, titolo di punta del Festival di Roma (22-31 ottobre), prodotto e sceneggiato da Bernd Eichinger, ispiratosi al libro omonimo di Stefan Aust, firma del settimanale Der Spiegel, la fa finita col mito dei brigatisti buoni, in cerca d’un mondo migliore, sia pure mitraglietta alla mano e già tale intento è una partenza lodevole. La tendenza a rivedere i colossali sbagli della sinistra, anche tramite pellicole controverse, non circola soltanto da noi, anzi. In Germania, Paese che ha un nervo sempre scoperto, il nazismo, fino a un decennio fa, l’estrema sinistra degli attentati a bomba, quella dell’«Offensiva 77» (per intenderci: gli assassini del presidente della Dresdner Bank Juergen Ponto, tra i quali un’amica di famiglia del banchiere), era vissuta come una possibile risposta a ogni tentativo di ritorno della dittatura.
In un certo senso, sotto la stella a cinque punte della RAF, dietro quei 33 morti seminati, dal 1977 fino alla caduta del Muro di Berlino, tra semplici cittadini e boiardi della Bundesrepublik, guidata dal socialista Helmut Schmidt, per la pubblica opinione c’era un gruppo di «Revoluzzer» smarriti, ma sostanzialmente non spregevoli. Anche se Jean Paul Sartre, il filosofo di tutti i contrari, quando, nel 1974, andò a visitare il terrorista marxista-leninista Holger Meins nel carcere di Stammheim, dov’era in isolamento, all’uscita lo definì direttamente «uno stronzo».
Ciò detto, per inquadrare a sciabolate il complesso psico-storico di cui parla il film del sessantunenne Edel, qui si schiera la meglio gioventù deutsch, in un’operazione di realismo critico. Nel ruolo della leader intellettuale Ulrike Meinhof, la giornalista di Konkret che sparava pallottole e parole con uguale velocità (nel 1970, con una spettacolare azione a mano armata, liberò dal carcere berlinese di Tegel l’amante Andreas Baader, qui Moritz Bleibtreu) si cala Martina Gedeck, protagonista del premio Oscar Le vite degli altri e ora al fianco di Sergio Castellitto nella commedia Tris di donne e abiti nuziali. Nervosamente sexy, frangetta sugli occhi e abiti smilzi, la vedremo pianificare attentati su una sdraio, sulla spiaggia di Sylt. Troppo giovane per ricordare la RAF, Martina prende le distanze dal suo personaggio, disegnandone i tratti d’una donna distrutta dal carcere e dalla sua guerra personale contro la rivale Gudrun Ensslin, l’altra donna di Baader. La quale sarà Johanna Wokalek, capelli biondi oltre le spalle e frangiona sugli occhi bistrati di nero. L’eterna sigaretta tra le dita, metterà in scena l’amore tra le sbarre, il processo, la folle lucidità con cui, studentessa del ’68, seguiva i discorsi di Rudi Dutschke... Nadja Uhl, invece, l’attrice che sarà Brigitte Mohnhaupt (capo della seconda generazione RAF), rimane molto femminile nel ruolo della rivoluzionaria borghese, che porta una fascia a fiori tra i capelli lisci, mentre impugna la Mauser.
Siccome Nadja si è documentata, non fa l’agnostica come Martina e dice: «Quando si parla di Olocausto, di guerra, noi donne non ci siamo mai. Io, invece, nel film ho messo la forza marziale del momento, in cui diamo la vita. Ho cercato soltanto di capire i morti». Cercheremo di farlo anche noi, molto presto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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