da Bagdad
A Bagdad non si è fatta attendere la vendetta degli sciiti: dopo aver subito il giorno prima una carneficina nella loro roccaforte di Sadr City, sono andati all'attacco del quartiere sunnita Hurriyah, con mortai, armi automatiche e lanciagranate. Risultato: almeno quattro moschee e diverse abitazioni date alle fiamme, e almeno trenta persone uccise e oltre cinquanta ferite.
È stata una vera e propria battaglia, perché i sunniti, dopo esser stati colti di sorpresa all'ora della preghiera, hanno reagito con le armi da fuoco. Ne hanno fatto le spese anche le squadre di soccorso, ambulanze e pompieri, a cui è stato impedito a raffiche di mitra di prestare assistenza ai feriti. Anche l'esercito, chiamato a sedare gli scontri, ha avuto grosse difficoltà e quindi pesanti ritardi nel raggiungere la zona, secondo quanto ha rivelato una fonte del ministero dell'Interno, aggiungendo che quindi si teme un bilancio delle vittime ben peggiore di quanto appreso finora.
A nulla è servito il coprifuoco, «fino a nuovo ordine», che era stato imposto nella serata di giovedì dalle autorità, dopo che sei autobomba, cariche di circa mezza tonnellata di tritolo, avevano provocato la morte di 200 persone e il ferimento di almeno altre 250 nella roccaforte del giovane leader radicale sciita Moqtada Sadr e della sua potente milizia, l'Esercito del Mahdi, ritenuta responsabile delle peggiori violenze.
E ieri, nel corso della preghiera del venerdì nel suo feudo di Kufa, nel profondo Sud sciita, Moqtada Sadr ha arringato nuovamente i suoi fedeli, addossando la colpa del massacro a Sadr City ad Al Qaida e agli irriducibili seguaci di Saddam, ma in qualche modo anche ai sunniti e al loro leader religioso Hareth al Dari, contro cui le autorità di Bagdad hanno emesso un mandato di cattura perché sospettato di legami con il terrorismo.
Violenze non sono state risparmiate anche lontano da Bagdad: in particolare a Baquba, cuore del «triangolo della morte» sunnita, una moschea sciita è stata fatta saltare con la dinamite.
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