da Milano
Claudio Baglioni ha una parlata rotonda e compiuta. Dice di essere periferico perché è nato e vissuto ai bordi delle città eppure eccolo qui, trentasette anni dopo, ancora al centro della musica. Tra una settimana esce Tutti qui, che è una collezione di ben tre cd con un brano vecchio e inedito (Annabel Lee del 1967), un singolo radiofonico (Tutti qui) alcune rarità e insomma tutti ma proprio tutti i brani che lo hanno trasformato in unicona della musica, lunica, a ben pensarci, che sia sempre rimasta sospesa tra cantantautorato e canzone cantabile, tra complesse partiture pop e la facile «maglietta fina» che solo quellarticolo di Veltroni sullUnità iniziò a sfilargli. E proprio Veltroni - dice lui - «riparla proprio di quel pezzo nel cofanetto che la Bompiani pubblicherà su di me tra poco».
Baglioni, Tutti qui è il suo primo greatest hits. Di solito è la scelta di chi è fermo al bivio.
«Ma no, gli artisti hanno labitudine di fare, come dire, la prova generale del gran finale. In realtà so bene in che cosa mi impegnerò».
Spieghi.
«Preparo il nuovo cd di inediti, completo linno di Torino 2006 e lavorerò con giovani architetti per il recupero di luoghi dellarcheologia industriale».
Niente tv?
«Per quella ormai ci vuole il giubbotto antiproiettile».
Perché cè censura?
«Negli anni 70 io ero stato sbattuto fuori dallallora pensiero forte. Oggi non cè censura, anzi. I politici cantano e i cantanti politicano.
Tutti qui invece è il suo meglio.
«Ho voluto fare una ripresa panoramica della mia storia musicale, delle duecentosessanta canzoni che dal 1967 mi hanno portato fino a oggi».
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