Baistrocchi, un reality da 50 anni

Baistrocchi,  un reality da 50 anni

Max Mateau

5 maggio 1956, data storica per la Baistrocchi. Dopo gli anni ruggenti del duo Tortora-Perani che conclusero il loro fortunato ciclo post bellico nel 1952 con lo spettacolo «Babau», il ricambio generazionale stentava a decollare.
Ci vollero ben quattro anni di «silenzio» e l’incoscienza del tutto goliardica di Marcello Simoni e Cesare Penna per tentare il grande rilancio. Fu la salvezza della Bai ed il perdurare di una tradizione che ancora oggi rivive, anche se in maniera assai diversa, momenti unici di spensieratezza ed indisciplina.
Ero da poco tempo a Genova, provenienza Firenze, anni 21 iscritto al terzo anno di medicina, con poche conoscenze (grazie al calcio) e molte speranze. Per un toscano farsi largo nel «muro» genovese era impresa ardua, «mission impossible» diremmo oggi. Siamo in gennaio, su un quotidiano cittadino leggo che la Compagnia Goliardica Mario Baistrocchi cerca attori e ballerine (leggasi uomini) per un nuovo spettacolo.
Io non sapevo niente della Bai, ma il fatto che fosse uno spettacolo universitario mi spinse a presentarmi. Non avevo certo ambizioni di entrare nel mondo dello spettacolo (altri tempi: allora il reality non era stato neppure sognato), ma mi sembrava l’occasione propizia per cominciare a frequentare qualcuno. Mi presento seguendo le indicazioni dell’annuncio in un anonimo ufficio di via XX Settembre dove c’erano due uomini e una donna. Con me altri 4/5 ragazzi in attesa dell’esame.
Prima domanda: quanto sei alto.
Seconda domanda: iscritto a che facoltà (allora era una conditio sine qua non per far parte dello spettacolo).
Terza domanda: balletto o prosa. Qui interviene la donna che in seguito si rivelò essere la maestra di danza, tale Mimma Nunez (indimenticabile) un mito e perentoriamente disse: «balletto». Ero assunto, a paga zero!
Posso tranquillamente dire che da quel momento la mia vita cambiò: divenni un baistrocchino, un vero baistrocchino, un marchio indelebile che ti stampi addosso e che ti porti impresso per tutta la vita.
Il «balletto» vero punto di forza della Bai in perenne contrasto (allora) con la prosa: 10 elementi a formare «Les mistinguettes de la rue», vulgo battone da strada era assai variegato e comprendeva universitari di diverse facoltà. Si provava in un locale di via XX Settembre e si doveva fare i conti con l’orologio per riuscire a prendere l’ultimo tram (ore 24) per tornare a casa: non ho contato le volte che l’ho perso (si provava esclusivamente dopo cena) e me la sono fatta sino al Lido a piedi. Serve per mantenere la forma, diceva la Mimma Nunez, e non aveva torto.
Lo spettacolo si intitolava «Come, quando, fuori, piove» e comprendeva la prosa con 18 elementi, il balletto con 10, i «Pin up boys» solo tre, i quattro de «Les barbons de la chanson», più La «Riverside sincopators jazz band» ed i sei «Crazy cow boys and sherif one» tra cui un certo Fabrizio De Andrè al benjo a 6 corde, alla chitarra e con la sua inconfondibile voce.

Fu la prima vola che cantò in pubblico, vestito da cow-boy, con la sua magica chitarra.
Il debutto avvenne il 5 maggio 1956, era un sabato, al Duse con il teatro stracolmo. Ma per arrivarci quanta fatica. Di questo, ed altro, vi narrerò in un prossimo resoconto.

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