Balle sui superstipendi e morale da bar sport

In Italia i banchieri guadagnano molto meno di calciatori e star del cinema. E il metro per valutarli è la ricchezza che producono

Balle sui superstipendi 
e morale da bar sport

lI Financial Times ha calcolato le pa­ghe dei grandi banchieri anglosasso­ni nel 2010. E si è ac­corto come, dopo due anni di crisi, sia­no ritornati i favolosi stipendi degli anni d’oro.Il vero fenome­no è il numero uno di JpMorgan che l’an­no scorso si è portato a casa, e che casa viene da immaginare, 20 milioni di dolla­ri. C’è da scommettere qualche misero dollaro che tra poco la polemica infurie­rà. Ma quanto vengono pagati questi ma­­ledetti banchieri? Ci hanno fatto fallire e ora dopo un paio di anni si ripresentano con stipendi da favola. Val la pena fare qualche approfondimento. Partiamo dal primo elemento di base, dal sapore ipocritamente moralistico: «Non è semplicemente giusto che un banchiere guadagni tanto. Tutti quei sol­di non servono. È contro un’idea norma­le di mercato». Gli stessi fan del «crinale morale» non si scandalizzano con altret­tanta foga se il signor Rossi eredita un patrimonio di centinaia di milioni di eu­ro, senza alcun merito. Ci si intenda. Non stiamo dando un giudizio. Ma il ric­co ereditiere (beato Lui) a parte soppor­tare il de cuius, non ha alcun merito. Non stiamo paragonando pere con me­le: il crinale morale, è morale, è assolu­to, ma come si vede miope. Pensate alle cosiddette celebrities . Qualcuno ha vi­sto manifestazioni di piazza per il ca­chet di Angelina Jolie o quello di Paola Cortellesi? La Zuppa si è esercitata a fare un calcolo (i dati sono riferiti al 2009 per motivi di pubblicità di bilancio) su quan­to incassano i manager italiani rispetto alle celebrità del nostro mondo dello spettacolo e dello sport. I nostri primi dieci manager nel 2009 si sono messi in tasca circa 44 milioni di euro: si va da quasi sei di Montezemolo ai 3,5 di Corra­do Passera. Il club dei 10 super ricchi tra calciatori e uomini di spettacolo (da Ibra a Bonolis, da Kakà a Scotti) ha fatto ben di più: circa 63 milioni di euro. Le nostre celebrities guadagnano circa il 40 per cento più degli odiati supermana­ger. Difficile trovare un’onda indignata di popolazione irritata dai loro stipendi. Calciatori e attori per definizione si meri­tano quanto prendono; i manager inve­ce no. I primi sono inarrivabili, fanno mestieri che noi non sapremmo fare con tanta abilità. Sono generosi e gla­mour. I secondi in fondo sono a noi più vicini, fanno cose che anche noi umani più o meno riteniamo di poter fare. E spesso sono in quelle posizioni non per merito, ma per... Quante balle. Ci sono delle ragioni ovviamen­te più di principio, per difendere gli indifendibili. Lo stipendio, in un’impresa di mercato, non può essere solo un riconoscimento re­­trospettivo del merito. Deve piut­tosto rappresentare un incentivo a creare in prospettiva sempre più valore. Se così non fosse i bolli­ti ma famosi sarebbero destinati sempre a stipendi da favola e i gio­van­i interessanti destinati alla pe­renne caienna. Tutto si può dire della finanza anglosassone, tran­ne che non sia capace di scoprire sempre nuovi talenti. Gli stipendi degli attuali banchieri non rap­presentano i buchi del passato, ma la capacità che hanno avuto di sanarli e le prospettive di recu­pero che hanno generato. Quan­do nel 2000 s­altarono le famose In­ternet company in giro per il mon­do ci furono morti e feriti finanzia­ri: non solo tra gli azionisti ma an­che tra i manager che avevano in­vestito tutto in azienda. Un atteg­giamento puramente di mercato non discute il valore assoluto del­la remunerazione, ma quello rela­tivo: e cioè la capacità di un diri­gente di creare per l’azienda un valore superiore al costo che essa sopporta nello stipendiarlo. Il lettore porti ancora pazienza per qualche riga e non si secchi di questa affermazione controintui­tiva e presumibilmente irritante. Vi è una seconda critica comu­ne, da bar, sugli stipendi dei su­permanager, in particolare quelli bancari. Si dice che ad animarli sia la loro avidità. Chi lo sostiene spesso è caratterizzato da un vi­zio ben peggiore che si chiama in­vidia. Ma questo è un altro discor­so. Dicevamo: i banchieri sono avidi. Può darsi. La superbia dei bankers talvolta non aiuta la loro difesa (stiamo in effetti facendo un certo sforzo). Ma resta il fatto che chi scrive, come probabil­mente chi legge, può essere avido quanto gli pare, ma se non c’è qualcuno che tira fuori la «gra­na », la sua brama tale resta. In­somma si può essere avidi, avidis­simi, ma lo stipendio più che dai propri irrefrenabili impulsi dipen­de da decisioni di terzi. La banca centrale di Dallas, ha fatto uno stu­dio particolareggiato sugli stipen­di più alti dei manager delle cor­poration americane. Emerge co­me i migliori pagatori non siano le public company, le società ad azionariato diffuso, ma quelle controllate da investitori istituzio­nali. Chi paga doviziosamente è anche colui che meglio controlla. Nellepublic company c’è sempre il rischio che i manager catturino la benevolenza di un consiglio di amministrazione (che stabilisce gli stipendi) che di fatto viene as­servito all’uomo forte dell’azien­da. Ma i cda dove siedono investi­tori istituzionali sono un’altra co­sa: i membri debbono rispondere delle loro scelte non già a una pla­tea indistinta di migliaia di picco­li azionisti un po’ distratti, ma a padroni attenti all’ultima lira. In­somma secondo la Fed di Dallas i superstipendi nascono dall’idea molto professionale che pagando bene si rischia di aumentare al­trettanto bene il valore dell’azien­da. Ps. Sugli stipendi la bolla di ipo­crisia ha dimensioni stellari in Ita­lia. Il neoassessore al Bilancio del Comune di Milano, Bruno Tabac­ci, ha detto che non intende di­mettersi da parlamentare. «Balla­no » più o meno 13mila euro: la dif­ferenza tra le due paghe. Vi rispar­miamo la gigantesca escalation di fandonie che ci hanno raccon­tato per il mantenimento del dop­pio incarico (peraltro in campa­gna elettorale il neosindaco Pisa­pia diceva che con lui non ci sareb­bero stati casi simili).

Non sareb­be stato più saggio dire la verità? Chi gestisce una macchina com­plessa e difficile come quella del Comune di Milano non può avere uno stipendio di 3mila euro al me­se ( peraltro a termine), ma si meri­ta, per la mole di lavoro e la sua responsabilità, ben di più.

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