Rivedo le immagini di Villa Astor a Sorrento, ripenso al giardino incantato, alla stanza di Benedetto Croce, ai frammenti archeologici, all'amicizia generosa di Mariano e Rita Pane. Si arrivava a Sorrento, spesso durante le feste natalizie, e anche d'inverno le giornate erano luminose: si passeggiava fra le piante rare, affacciandosi davanti al mare. Nel ricordo sono immagini nitide, ma sembrano di un'altra vita. Troppe cose sono mutate, troppi amici sono perduti, ed è quel passato che non può tornare.
In quella casa vidi per la prima volta dipinti di Renato Balsamo. Erano vedute di paesaggio, e sembravano rispecchiare la luce del mare, ma come trasferita in un'aura metafisica. Ho poi conosciuto Balsamo, l'ho visto più a Cortina che a Sorrento. L'ho ritrovato nella luce tersa di ogni suo dipinto, con l'insistenza sui soggetti pittoreschi e amati degli ulivi con le loro compiaciute cortecce. A tale perfezione erano giunte le sue opere con questo soggetto da essere diventate emblematiche dell'opera di Balsamo, come le nature morte di Morandi e i manichini di de Chirico. Ma ne erano soltanto una stagione, un «periodo» del pittore che aspirava a nuovi orizzonti.
Abbandonati spiagge, cieli, nuvole, mare, abbandonato il ricordo struggente della sua terra, Balsamo si avvantaggia del suo soggiorno a Cortina sotto la protezione di Rachele, mitica grande madre, per uscirne con una serie memorabile di ritratti, di dialoghi muti con amici e uomini illustri. Anche qui, Balsamo vivifica il genere con una lucidissima aspirazione del corpo e dei volti a uno spirito misterioso che è come l'essenza stessa di ognuno di noi: Giorgio Soavi, Riccardo Muti, papa Wojtyla, Gianni Agnelli. Davanti a noi, con le loro anime inquiete e turbate, anche nello spirito guerriero. Dipinge anche me, malinconico, e mia madre, come mai nelle sigillate pitture, viva. Giovane e dubbiosa, con un'ombra nel volto. La ritrovo, le parlo.
Per la cronaca, anno 1986. Balsamo oscilla dalla esteriorità icastica parimenti riscontrata nella turgida energia degli ulivi e nelle frastagliate rocce delle Dolomiti, alla lettura del cuore dell'uomo. Natura e umanità convivono, respirano in un solo anelito. Fronteggia questo mondo intero il ritorno all'origine della pittura nello spirito primitivo riabilitato da Zoran Music, il cuore del mondo. Ciò che Balsamo ha visto come sublime della natura nella sua potenza, Music sente come archetipo delle forme dell'arte, primo anelito, nelle pitture rupestri dove ha origine il segno dell'uomo, il racconto del suo rapporto con la natura. Music non cerca l'anima dell'individuo, la sua interiorità compiaciuta e turbata, neanche negli autoritratti, ma insegue arcane corrispondenze tra essenze, i primi disegni che stingono nel corso del tempo. E ancora parlano di noi. L'intimità di Music è un'estrema quintessenza nella quale si consumano i corpi dei morti in un coro di superstiti.
Balsamo vuole stupire, intercettare il segreto dei personaggi che ha davanti. Music racconta la vita degli anonimi, anche nella disperazione dei perseguitati, degli umiliati, dei cancellati. Egli tormenta, filtra, scompone, consuma, esala la forma per renderla incorporea come una metaforica rappresentazione dello spirito. L'uomo dolente, sofferente, mortificato, come la sua grama e rarefatta pittura. Cinis pulvis et nihil. Music sta dalla parte degli ultimi, dei morti, dei perduti.
Si ritrovano Music e Balsamo oggi a Cortina, dove in più occasioni si incontrarono e si parlarono, sotto lo sguardo benevolo e affettuoso di Mario Rimoldi, così come Balsamo lo ha ritratto. Oggi, attraverso i dipinti, parlano le loro anime.
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