Banalità e battaglie civili. La ricetta della fama pop

In "Un volto nella folla" Budd Schulberg racconta l'ascesa di un cantante folk, perfetto imbonitore

La fame di fama è uno dei segni della nostra epoca. Budd Schulberg (1914-2009) ha assistito alla ascesa e caduta di molte stelle nella sua lunga carriera di scrittore, giornalista sportivo, produttore televisivo e sceneggiatore. Per questo è un esperto del ramo «carriere improvvise grazie alla manipolazione del pubblico». A Schulberg dobbiamo, tra le altre cose, Fronte del porto, regia di Elia Kazan, con Marlon Brando protagonista (1954). Ma anche A Face in the Crowd, un'altra regia di Kazan, con Andy Griffith e Walter Matthau. Quest'ultimo film era tratto da You Arkansas Traveler, racconto di Schulberg stesso, oggi pubblicato in Italia con il titolo Un volto nella folla (1952) assieme ad altri due racconti a tema, Questa è Hollywood e L'idolo della folla (a cura di Gian Paolo Serino, traduzione di Silvia Lumana, Mattioli 1885, pagg. 108, euro 10).

Nel racconto principale, un cantastorie, Lonesome Rhodes, il Solitario Rhodes, figura tipicamente americana, finisce quasi per caso in radio. Alterna vecchie canzoni ad aneddoti su Riddle, la piccola città da cui dice di provenire. Successo immediato. Lonesome ha un talento particolare nel presentarsi come la voce del popolo degli Stati Uniti più periferici. Le sue storie buffe appassionano le casalinghe, che si sentono capite, ma anche i loro mariti, che lavorano duro. Un po' di patriottismo non guasta. Lonesome scopre di poter mettersi alla testa dei suoi fan: inizia con qualche affondo politico contro lo sceriffo della zona, poi ci prende gusto e alza il tiro. Arriverà a discettare con finta competenza perfino di politica estera. Nel frattempo, è passato da una minuscola radio a un potente network. Lonesome si rivela per quello che è: un abile imbonitore sempre più pieno di soldi e di boria. A voi scoprire il finale. Intanto aggiungiamo che, negli altri due racconti, troverete la più divertente satira del mondo di Hollywood. Serino, nella bella prefazione, sottolinea come Schulberg non lavorasse nel vuoto. Al contrario, aveva gli occhi ben aperti: il primo esempio di politica-spettacolo in senso moderno «fu la candidatura, nel 1919, a Presidente degli Stati Uniti d'America di Woodrow Wilson, in una campagna elettorale che il sociologo americano Walter Lippmann battezzò come costruzione del consenso. Wilson fu il primo a impiegare massicciamente la psicologia di massa per ottenere la vittoria. Con i decenni, quella che oggi possiamo leggere come rudimentale costruzione del consenso è diventata ingegneria sociale, materia che viene studiata anche al M.I.T. di Boston». La storia di Lonesome anticipa in maniera stupefacente quella dei divi di oggi, i cosiddetti influencer. La radio è stata archiviata. La nuova palestra in cui guadagnare, letteralmente, consenso sono i social network. L'influencer più intelligente lavora come Lonesome: un terzo di imbonimento, un terzo di «battaglie civili» e un terzo di product placement, che poi è il nome nuovo di un fenomeno vecchio, la pubblicità. Ed ecco la lapide su questo tipo di mondo scritta da Bud Schulberg: «Voleva dire di più. È una delle piaghe che la nostra epoca ha ereditato dalla precedente. Oggi i disc jockey non mettono i dischi. Oggi ti insegnano come risolvere il problema del traffico a New York e come migliorare le Nazioni Unite. (...) Si stava spingendo verso un limite che non solo gli innocenti ma anche una larga maggioranza di idioti avrebbero avuto paura a valicare». Non è tutto. Lonesome «era così ignorante che anche il pensiero più insignificante che gli passava per il cervello gli sembrava una rivelazione così sconvolgente da doverla condividere col suo pubblico. Immagino che uno psichiatra la definirebbe mania di grandezza.

Sembra sia uno dei maggiori sintomi di quella terribile malattia chiamata successo». Perfetto. Corriamo tutti quanti a postare queste frasi su Facebook. In fondo siamo diventati tutti (o quasi) volti con l'ansia di emergere dalla folla...

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