Cultura e Spettacoli

Band riesumate con l’accanimento terapeutico

I Doors senza Jim Morrison? Detta così è una contraddizione in termini, uno sberleffo dadaista, un ossimoro. Come una monarchia senza monarca, un papato senza papa, un Guernica senza Picasso. Eppure questo ci offrono le strategie d’un mercato musicale che, come il cuore di Pascal, ha ragioni ignote alla Ragione: così improbabili che chiamarle ragioni è, appunto, come parlare dei Doors senza il genio visionario di Morrison, o dei Queen che continuano a esibirsi senza l’istrionismo rutilante di Freddie Mercury.
Del resto nella musica, si sa, il culto del caro estinto è un frequentatissimo investimento. E l’accanimento terapeutico - come tenere artificialmente in vita un corpo senza più vita - ne è una modalità. Un concetto che vale per l’abbuffata merceologica perpetrata ai danni di Jimi Hendrix, John Lennon, Elvis Presley, come per la tendenza a riesumare gruppi il cui leader è da tempo scomparso, e nel quale si personificava l’identità dei gruppi medesimi: stessa logica illogica, vagamente antropofaga, quella di rosicchiare un cadavere già sepolto, e di dargli una voce fittizia utilizzando i suoi ex musicisti come un altoparlante rotto, o un registratore mal funzionante.
È successo con i Pink Floyd, orbati del genio tormentato di Roger Waters e tuttavia, per anni, impegnati a riproporre una musica che senza di lui si riduceva a estetismo pompier, tronfia esibizione di muscoli. Succederà, parzialmente, con i Genesis, che a giugno, al Colosseo, riproporranno il loro repertorio: guidati dall’onesto artigianato di Phil Collins ma senza l’estro ispirato di Peter Gabriel, vero artefice della loro passata grandezza. Ma intanto la fabbrica della nostalgia annuncia altri ritorni, questa volta senza limitanti vedovanze: i Roxy Music preparano un nuovo album sotto la guida di Bryan Ferry, il leader di sempre, e i Led Zeppelin tornano in pista nell’originaria formazione, defunti ovviamente esclusi. I gloriosissimi Who non si sono mai veramente sciolti, e infatti, di tanto in tanto, Pete Townshend stacca la chitarra dal chiodo e li pilota in estemporanee esibizioni. Estemporanee come la provvisoria riunione dei Police, avvenuta dopo anni di infastiditi dinieghi da parte soprattutto di Sting, quello che, da una ricostituzione del celebre trio, ha meno da guadagnarci.
Forse perché è il primo a chiedersi, Sting, se tutto questo serva davvero, alla causa della musica. Ovvero, se certe riesumazioni le giovino almeno quanto giovano alla causa del business. Difficile dirlo.

Ché se riproporre quel che resta dei Queen o dei Doors è iniziativa che rasenta la frode - si sfrutta il rimpianto per Mercury o per Morrison, senza poterne reiterare la presenza carismatica e il talento scenico -, va da sé che l’obbiettivo principale di eventi del genere è di far soldi: obiettivo che l’industria musicale predilige su tutti gli altri, ma che alla qualità della musica non ha mai portato fortuna.

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