Bare e lutti al braccio: lo stupidario del «no»

da Milano

Non era neppure suonata la campanella che la sinistra già aizzava il fronte del «no». Materne, secondarie, università, ma che importanza ha? Quello che conta è tirare in mezzo tutti: studenti, professori, genitori, persino i bebè. Per i quali Gelmini potrebbe anche essere una marca di biscotti ma tant’è. Pure loro arruolati alla causa dei pasdaran. Venerdì scorso a Ravenna il ministro dell’Istruzione era stato invitato all’inaugurazione di una nuova scuola. Poi ha disertato. Avrebbe visto con i propri occhi la particolare, pirotecnica e «calorosa» accoglienza. Frugoli che a scuola non ci hanno ancora messo piede con al collo cartelli più grandi di loro: «No alla Gelmini», «È una proposta classista». Cocchi di mamma al fronte. Della serie: armiamo i nostri figlioli e partiamo.
Hanno aperto la strada quelli dell’Iqbal Masih di Roma, scuola elementare che, all’esordio dell’anno, invece di vedere correre frotte di cartelle e astucci, ha visto la marcia di mamme e papà. Immancabili le prime scritte sui muri: «Chiusi per tagli». Qualcuno con la vena poetica bella gonfia si è pure preso la briga di vestire con maglie colorate genitori e figli. Unico logo: «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini». Sei, sette anni al massimo: perché siamo conciati così? Per protesta!
Almeno qui c’era il colore. Molto più lugubre la ribellione degli insegnanti di una quarantina di istituti romani. Tutti vestiti di nero manco fossero a un concerto degli Ac/Dc. Lutti al braccio, drappi viola perché «È la fine del nostro sistema scolastico». Ieri, a Perugia, è comparsa addirittura una bara: «Qui giace la scuola pubblica».

E dietro i sindacati e Legambiente e le associazioni di categoria e gli universitari e quelli della sinistra arcobaleno. L’importante è protestare. A Genova, un Sessantotto «al pesto»: dozzine di genitori hanno bivaccato nei sacchi a pelo della scuola dei figli. Come ai vecchi tempi.

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