Poco tempo. Molta confusione. Far vincere con il «sì» le riforme costituzionali nel referendum del 25 e 26 giugno chiede impegno solerte. Le riforme difese (tre gli aspetti essenziali: rafforzamento della premiership, superamento del bicameralismo perfetto verso un Senato federalista, e devoluzione di alcuni poteri in modo esclusivo alle Regioni) rappresentano un vantaggio per i cittadini non per i partiti. Oggi il premier è di centrosinistra, la maggioranza al Senato risicatissima, gran parte delle Regioni governate dall'Ulivo: astrattamente i vantaggi sarebbero più per Romano Prodi che per il centrodestra.
Si tratta con il «sì» di completare la riforma avviata negli anni Novanta, quando la società italiana si rese conto come la politica si fosse ingolfata. Il sistema decisionale impediva scelte coerenti con i tempi di una nazione moderna. Il tutto nasceva da limiti profondi del sistema costituzionale, in parte giustificati dal passato (la ripulsa della degenerazione fascista) e dal momento storico in cui fu scritta la Carta (anni del decollo della Guerra fredda). Nel 1947 non era irragionevole diminuire i poteri dell'esecutivo, imbrigliare il sistema decisionale, abbondare in garanzie pur paralizzanti: ricordo del fascismo e paura della guerra civile suggerivano massima prudenza.
Negli anni Novanta, dentro l'Unione Europea e scomparsa l'Unione Sovietica, le «paure» si sono dileguate. Resta l'avidità dei partitini, di mettere le mani sui processi decisionali: più spazio per le controversie, più le piccole fazioni possono, come topi nel formaggio, intrufolarsi. Di qui la debolezza della figura del premier (si è visto con Prodi in queste settimane); di qui la perfetta duplicazione dei ruoli tra Camera e Senato: più si rinvia le decisioni, più il topetto mangia. E la duplicazione dei poteri tra Stato e Regioni: nessuno deve essere mai veramente responsabile di niente. È il festival del topetto del territorio che non risponde all'elettore. Le norme approvate dal centrodestra sarebbero imperfette? Tra bicamerale Bozzi, bicamerale Iotti, bicamerale D'Alema sono oltre venticinque anni che si tenta di riformare la Costituzione facendo solo grandi buchi nell'acqua, se non per uno sciagurato intervento del centrosinistra che ha riformato la Carta con tre voti di maggioranza nel 2001 per complicare invece che per semplificare i poteri (ah! l'attrazione del formaggio!): scelta scellerata rimediata da un centrodestra che ha ridato allo Stato centrale facoltà essenziali. Alla faccia dello sfascismo leghista.
La campagna referendaria deve avere ispirazione larga, mobilitare chi parla alla società civile. Non solo politici ma anche medici e insegnanti che spieghino come «l'organizzazione regionale» (non la funzione generale che resta nazionale) non ostacoli l'efficienza; o imprenditori, lavoratori autonomi e dipendenti che suggeriscano quanto il federalismo possa introdurre tasse meno centrate su lavoro e produzione. Altrimenti topetti nazionali e regionali faranno il gioco delle tre carte spremendo i soliti noti. Spazio agli specialisti: costituzionalisti come D'Onofrio, Armaroli, studiosi come Quagliariello che rintuzzino gli insulti degli esponenti castali del costituzionalismo, che considerano la Carta fondamentale cosa loro non del popolo.
Infine i politici: curando che al Sud si mobilitino le figure più popolari.
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