La battaglia giudiziaria dei «dannati della diossina» inizia con uninchiesta penale il 18 gennaio 1977. Il 23 maggio di dieci anni dopo la Cassazione condanna definitivamente lIcmesa per disastro colposo e delega alla giustizia civile il compito di quantificare i danni. Il 24 maggio del 1997 ancora la Cassazione dà torto a 21 cittadini che avevano avviato una causa pilota per ottenere il risarcimento del danno morale. A febbraio del 2001 il colpo di scena: ancora la Suprema Corte, questa volta a sezioni riunite, stabilisce che anche la paura in sé costituisce un valido motivo per avere il riconoscimento dei danni morali. Inizia il dibattimento. Il tribunale riconosce ai cittadini del comitato Cinque D due milioni delle vecchie lire a testa. Poi, arriva la beffa: in appello la sentenza è ribaltata. La Givaudan, proprietaria della multinazionale svizzera, rivuole le somme versate. I beffati si rivolgono allavvocato Daniela Arlati di Desio, la quale, al termine di una lunga trattativa con i legali dellIcmesa, riesce almeno a far desistere il colosso elvetico di pretendere gli interessi maturati. Poi ci sono i 1.221 cittadini del Movimento Federativo Democratico che hanno perso la causa intentata per avere il diritto al risarcimento sui danni biologici, e ora attendono il verdetto in secondo grado.
Il 4 luglio del 2005 nellaula del Tribunale di Desio inizia la terza maxicausa contro la Givaudan. La vicenda processuale riguarda 1.132 persone assistite dallavvocato Francesco Borasi. Con i processi ancora in corso si gioca una partita da 12 milioni di euro.
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